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LIMONETI DI SORRENTO
Un ambiente naturale decisamente "caratterizzante" l'area sorrentina sono i celebri limoneti. Il limone di Sorrento appartiene alla specie colitivata “Ovale di Sorrento†, meglio conosciuta come “Femminelloâ€. Questo frutto pesa almeno 85 grammi, è ellittico nella forma, ha un forte profumo ed è molto succoso. La parte gialla della buccia è ricca di olii essenziali ed il succo del frutto è una combinazione, immediatamente riconoscibile, di zucchero ed acido citrico. Nel 2000, il “Femminello†ha ricevuto il riconoscimento "Indicazione Geografica Protetta" (PGI) dall’ Unione Europea. Questo riconoscimento protegge la specie e definisce l’area dove il limone può essere coltivato, come la Penisola Sorrentina e l’Isola di Capri. Il marchio PGI richiede anche che la coltivazione sia portata avanti in un modo specifico, sotto le “pagliarelleâ€, che proteggono il frutto dalla salsedine nell’aria, dai cali di temperatura e dai ritardi nella maturazione (che sono tipici dei limoni). I limoni fioriscono più volte: in Ottobre, il primo frutto (“primofioreâ€) dà i limoni più succosi; in Marzo maturano i “bianchettiâ€; ed in Giugno i “verdelliâ€.
A causa della loro bellezza colma di sole, i limoni furono usati inizialmente come piante decorative e addirittura celebrati in "rawdija" (un genere di poesia araba). Furono gli Arabi tra l’altro che scoprirono le proprietà curative degli olii essenziali e dei succhi estratti dalla scorza, fiori e frutti del "laymun" (limone), "narang" (agrumi), "‘utrug" (cedro) e così via. Anche la distillazione di "al-kuhul" (alcol) tramite l’ "al-inbiq" (alambicco) è parte della farmacopea Araba. L’aggiunta di erbe aromatiche all’alcool produce "al-iksir" (elisir), che, per secoli furono vitali per medici, chimici e nei monasteri. Qualche volta nel XV o XVI secolo, i monaci iniziarono a combinare alcool profumati con sciroppi dolci, dando così inizio all’era dei liquori e dei rosoli (liquori dolci). Sarà invece sempre un mistero se fu un monaco o una capace massaia che per prima “macerò†scorze di limone nell’alcool e nello sciroppo di zucchero, ma il risultato, “limoncello†o “limonillo†nel dialetto di Sorrento, è ora un
tipico prodotto locale.
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CHIESA DEL PIO MONTE DELLA MISERICORDIA
Nella chiesa di Napoli "Pio Monte della
Misericordia" fa bella mostra di sè lo splendido
dipinto "Nostra Signora della Misericordia" del
Caravaggio - venne commissionato al pittore lombardo
(Michelangelo Merisi, Milano ? 1471 - Porto Ercole 1610)
nell'anno 1607. Nel quadro sono rappresentate le opere di
Misericordia corporale, in un'unica, complessa
raffigurazione, dove i personaggi sintetizzano con pochi,
essenziali gesti tutta l'essenza della caritÃ
cristiana, rappresentata con le vesti della quotidianitÃ
plebea.
La scena, che sembra ambientata in un animato vicolo nella
"verità nuda di Forcella o di Pizzofalcone"
(Longhi), viene illuminata da una fonte artificiale di luce
proveniente dall'alto a sinistra, mettendo in evidenza col
suo fascio le case e le persone colpite lasciando il resto
nell'ombra.
Le "Opere della Misericordia", definito il più
importante quadro religioso del Seicento (Longhi, Argan, Causa)
determinò a Napoli un modo rivoluzionario di concepire la
pittura, compromettendo la credibilità culturale dei tanti
locali di estrazione tardo-manierista.
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MUSEO DI SAN MARTINO
La Certosa di S. Martino è considerato il museo di
Napoli più vario e sorprendente ; ricco per bellezza
artistica, curiosità e vari elementi di stile, questo
museo offre un meraviglioso panorama dalle sue finestre e
terrazze. Costruito sulla collina del Vomero, ai piedi di Castel
Sant’Elmo, il museo è costituito da una chiesa del
18° secolo con diverse sagrestie talmente ricche di
capolavori d’arte da sembrare delle gallerie di arte
Napoletana di quel tempo. Inoltre, nello stesso complesso
monasticom si possono trovare tra gli altri: un bel chiostro
opera di Cosimo Fanzago, altri piccoli chiostri, lunghe stanze
che registrano la storia di Napoli, modelli di navi, gioielli,
note dal teatro di Pulcinella, costumi e uniformi, maioliche
d’Abruzzo, i pastori del presepe ecc.
Un attento visitatore
potrebbe passare ore intere in questo museo, esaminando
attentamente il contenuto di tutte le bacheche, scoprendo
dettagli sempre nuovi nelle decorazioni delle stesse stanze,
ammirando gli scorci di panorama che cambiano da una finestra
all’altra fino al grande balcone dal quale si puo’
godere della vista di tutta la città , da Capodimonte a
Posillipo: il famoso balcone sospeso sulla Baia. Il museo era un
vecchio monastero, costruito nel 14° secolo, ma il suo stile
attuale è barocco. Fanzago lavorò qui per molti
anni, e tutti gli artisti di Napoli, o che operarono a Napoli a
quei tempi, hanno lasciato il loro segno a S. Martino. Nel 1860 i
Cartesiani dovettero abbandonare il Monastero, a causa delle
leggi che sopprimevano gli ordini religiosi, e da allora divenne
un museo, in crescita lenta ma sorprendente tra le celle, i
corridoi e le stanze di ogni grandezza.
IL PRESEPE A NAPOLI
Il presepe non nacque a Napoli: la prima opera del genere fu
infatti realizzata da S. Francesco con persone viventi nelle
Grotte di Gubbio. Ma a Napoli il presepio ha assunto un
significato particolare ed un effetto realistico introducendo la
vita contemporanea nella scena mistica. Il 18° secolo ha
visto il trionfo del barocco e ha dato al presepio ricchi
elementi decorativi che spesso si rifanno all’arte di
scultori riconosciuti come Sammartino, il creatore del
“Cristo Velato†nella Cappella di Sansevero,
Vassallo, Gori, Celebrano, che hanno lasciato grandi statue di
marmo per modellare, uno per uno, le piccole figure di terracotta
che rappresentano le persone del popolo, le lavandaie, i bovari,
i venditori ambulanti e gli animali. I modelli sono scelti
direttamente dai vivaci Napoletani del tempo. E così
interi quartieri di Napoli vennero trasferiti nei presepi insieme
alle abitudini e agli abiti del 18° secolo, senza nessuna
evidente connessione con la rappresentazione di Betlemme. Ma
è proprio questo risaputo anacronismo che ha dato bellezza
al presepio Napoletano, offrendo una fioritura di verità e
fantasia alla scena della Natività , in una cornice di
Vicereame Spagnolo e di regno di Carlo di Borbone. Re Carlo di
Borbone stesso metteva i pastori nel suo presepe personale, e la
regina Amalia, personalmente cuciva gli abiti dei pastori, mentre
un insieme di falegnami, vasai, artigiani, gioiellieri creava un
mondo in miniatura che si armonizzasse con i piccoli pastori.
Ogni Napoletano voleva il suo presepe in casa, e molti di questi
presepi sono ancora conservati da alcuni devoti collezionisti. Il
più grande presepio del mondo è quello del Museo di
S. Martino, che è come un catalogo di pastori dei
più famosi artisti.
Ma l’ammiratore più appassionato non può
trascurare il piccolo prezioso museo privato della collezione
Catello in Via Cimarosa, e può richiedere al Conte
Leonetti, all’avvocato Perrone e ad altri noti
collezionisti il permesso di visitare le loro collezioni. Altri
famosi presepi sono quello in marmo della chiesa di Monteoliveto,
e quello in legno a S. Giovanni a Carbonara; ma a Natale quasi
tutte le Chiese hanno il loro incantevole presepio.
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GLI SCAVI DI STABIAE
Dell’antica città di Stabiae non si sa quasi
nulla: il sito stesso del centro urbano è ignoto. Le
notizie sono quelle storiche e archeologiche (relative alle aree
di necropoli): la prima occupazione si data approssimativamente
all’VIII secolo a.C., periodo in cui i corredi funerari
divengono ricchi e meglio documentati. Nel corso del VI secolo
a.C. la cultura materiale, fino ad allora improntata ad un
circoscritto localismo, si arricchisce di influssi e importazioni
greche, ma anche di imitazioni occidentali prodotte in officine
etrusche. E’ nell’orbita etrusca che il sito di
Stabiae sembra svolgere la gran parte della sua storia più
antica, fino a confluire più tardi, con l’arrivo dei
Sanniti, nella confederazione nucerina. Durante le guerre
sannitiche capitola dopo un lungo assedio delle truppe romane nel
308 a.C. A causa della sua posizione strategica venne quasi
completamente distrutta durante la guerra sociale e da quel
momento in avanti, fino all’eruzione del 79 d.C., la storia
cittadina diviene poco più che ordinaria. Le strutture
realmente visibili sul territorio sono quelle relative ai
quartieri residenziali suburbani con alcune notevolissime
ville.
DESCRIZIONE:
Le due ville maggiori sono la Villa Arianna in
Campo Varano e la Villa di San Marco. La
villa Arianna venne inizialmente scavata in etÃ
borbonica nella seconda metà del XVIII secolo da Carlo
Weber, il quale rimosse ogni tipo di decorazione, dagli affreschi
ai mosaici. La struttura residenziale risale nel suo nucleo
originario ad epoca tardo-repubblicana; venne successivamente
ampliata, con l’aggiunta di ambienti sul lato posteriore,
nel corso del I secolo d.C. Nell’area archeologica è
possibile individuare il quartiere termale, con "calidarium
absidato" e "praefurnium" ancora leggibili,
originariamente decorato in "opus sectile". Dei pochi
affreschi ancora visibili vanno segnalati "l’Arianna
abbandonata a Nasso", sulla parete dell’ampio
triclinio, "Ganimede rapito dall’aquila", nel
vestibolo annesso, "Perseo e Andromeda", in una sala
attigua, purtroppo danneggiato dal Weber. Lungo l’asse su
cui si apre il "triclinio estivo" si succedono ambienti
più o meno grandi decorati con caratteristiche decorazioni
a fondo bianco e giallo, che rompono con la tradizione decorativa
ellenistica, nella quale predominavano grandi pannelli figurati,
e prefigurano analoghe ma meno raffinate decorazioni che saranno
l’ornamento prediletto di ricchi latifondisti e mercanti
delle più lontane province dell’impero. Poco oltre
si trova il monumentale "peristilio", che si snoda per un
circuito complessivo di m 370, che ripete il canone indicato da
Vitruvio per le palestre. Dalla parte opposta si trova invece il
nucleo repubblicano della villa. In esso "cubicola" con
pregevoli decorazioni a mosaico si articolano intorno
all’asse canonico atrio-peristilio, tipico delle residenze
vesuviane del I secolo a.C.
La villa di San Marco venne
edificata nella prima età augustea, per poi essere
modificata a più riprese nel corso del I secolo d.C., in
particolare durante l’età claudia. Le strutture
visibili sono state gravemente compromesse dal sisma del 1980,
che ha reso necessari massicci interventi di restauro. Si entra
da un vestibolo che immette nell’atrio, su cui si apre il
"larario", con decorazione a finto marmo. L’area
destinata ai bagni si annette al resto della costruzione con un
asse differente, dovuto alla presenza di una strada che ne ha
condizionato l’orientamento. Gli affreschi originari sono
stati distaccati e portati nel locale Antiquarium. Gli autori
degli affreschi di questa parte della villa sono gli stessi ai
quali si deve la decorazione della Villa Imperiale di Pompei. La
successione degli ambienti è quella tipica, che dispone in
sequenza di "frigidarium, tepidarium e calidarium". Una
grande porzione della superficie della villa è occupata
dal giardino che si distende a partire dalla monumentale facciata
di un finto ninfeo, arricchito da un "peristilio anulare"
e da raffinatissimi mosaici parietali. Di altissimo livello
l’affresco che decora la "diaeta" al termine del
portico laterale orientale, con rappresentazione di "Perseo e
Cassandra". L’identificazione dei proprietari nei
“Virtiiâ€, nota famiglia stabiana, è
ipotetica.
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VILLA DI POPPEA
La cosiddetta “Villa di Poppea†è
probabilmente la più grandiosa ed elegante fra le ville
suburbane riportate alla luce sinora. Come per Pompei ed
Ercolano, anche questa nobile dimora fu sepolta
dall’eruzione del Vesuvio del 79 DC sotto una spessa coltre
di materiale vulcanico: 6 metri circa di cenere e lapilli e poi
un consistente strato di fango.
I primi scavi nell’area conosciuta col nome di
“Mascatelle†furono intrapresi al tempo dei Borbone.,
e “saggi di scavamento†sono documentati per gli anni
1839 e 1840. Ma il primo scavo sistematico è iniziato solo
nel 1964 ed è ancora in corso.
Nel momento in cui la cenere ed il fango hanno completamente
seppellito la villa, a seguito dell’eruzione del Vesuvio
del 79 AD., la bella dimora era probabilmente inabitata e
sottoposta a lavori di restauro: finora nessuna traccia di
vittime umane o animali si è recuperata; mancano nei vari
ambienti quelle suppellettili, quegli oggetti, quelle opere
d’arte, che nelle città vesuviane sono segno
d’una vita interrotta bruscamente. Per contro, indizio di
lavori in corso e tutto quanto si è trovato fuori posto:
colonne marmoree distese a terra lungo le pareti del grande
salone, sculture decorative ammucchiate in un angolo del
porticato, gruppi di lucerne imballate ed accantonate in una
stanza, come se fossero tenute in deposito.
Sul piano storico-sociale la villa romana di Oplontis deve
certamente inquadrarsi in un ambiente facoltoso e raffinato sia
per quanto riguarda la sua prima fase di vita, come lo dimostra
la qualità dell’architettura e della pittura, sia
per quanto riguarda la fase successiva, fino al suo
seppellimento, anche se essa possa aver cambiato di proprietario
nel corso della sua vita stessa. Ma è molto difficile allo
stato attuale delle nostre conoscenze indicare di questa villa
l’ipotetico proprietario E’ forse lecito però
poter avanzare una ipotesi. Sopra il collo di un’anfora
trovata nella grande latrina vi è dipinta la scritta
SECVNDO POPPAEAE. L’anfora fu dunque spedita ad un
"Secundus" liberto di una "Poppaea". Seppure deboli
indizi, sono tuttavia essi tali da autorizzarci a supporre che la
villa fosse di proprietà della "gens Poppea",
almeno nel suo ultimo periodo, e che "Secundus" ne fosse
un liberto o addirittura il "procurator".
Il complesso architettonico fu costruito intorno alla
metà del I secolo a. C., ma ebbe successivi rifacimenti
soprattutto nella decorazione parietale nel corso
dell’età imperiale giulio-claudia. Si estende per
oltre 60 metri dal Ovest ad Est e per più di 50 metri da
Nord a Sud, e presenta gli elementi fondamentali della tradizione
romana insieme con elementi di gusto più propriamente
ellenistici. Notevole è soprattutto lo sviluppo dei
porticati che girano intorno al perimetro dell’edificio e
l’ingresso colonnato di passaggio dal gran salone al
giardino.
Ad ogni buon conto, comunque, la villa oplontina rispecchia nel
corpo centrale la disposizione della casa urbana, anziché
quella delle ville extraurbane e suburbane, e la tipica sequenza
atrio, "tablinum, hortus" o peristilio viene qui
idealmente conservata, ma allo stesso tempo adattata
all’intera planimetria della villa ed arricchita dalla
presenza del grande salone settentrionale.
Il settore occidentale appare chiaramente essere stato il
quartiere di rappresentanza, e la parte più nobile della
villa stessa.
Il settore orientale, invece, sembra piuttosto destinato sia agli
aspetti più intimi della vita quotidiana, (ambienti ad
ovest e sud) sia allo svolgimento dei servizi (ambienti a nord ed
est).
Ma ciò che colpisce di questa splendida abitazione, oltre
alla sontuosa struttura architettonica e gli ampi giardini,
è l’insieme delle belle pitture che decorano la
villa, la cui unità stilistica è innegabile: ne fa
fede se non altro il ricorrere spesso di eguali motivi. E se il
secondo stile oplontino trova nessi con altre pitture giÃ
note, Villa dei Misteri, Casa del Labirinto, e così via,
esso è più di tutte vicino alle pitture di
Boscoreale; in alcuni dettagli vi è tanta somiglianza da
indurre a pensare che le une e le altre siano uscite da una
stessa tradizione pittorica.
Dopo la dispersione nei vari musei del mondo delle pitture di
Boscoreale, il complesso oplontino che conserva invece la sua
unità pittorica trova riscontro solo in quello della Villa
dei Misteri ed in un certo senso lo supera. Né è
escluso del tutto che lo scavo ancora in corso riveli un giorno o
l’altro anche qui un ciclo megalografico da porre accanto a
quelli di Boscoreale e di Pompei.
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I CAMPI FLEGREI
POZZUOLI
Pozzuoli fu una colonia di Samos nella seconda metà del
VI secolo a.C. Inizialmente conosciuta col nome di Dikaiarchia,
combatté al fianco di Cumae contro gli Etruschi ed i
Sanniti, che la conquistarono durante il V secolo a.C. Nel II
secolo a.C. sotto i Romani prese il nome di Puteoli, divenendo la
più importante base strategica per la flotta romana nel
Mediterraneo fino alla costruzione del porto di Ostia (I secolo
d.C.). Ma nonostante il suo progressivo declino, fu sempre tenuta
in alta considerazione dagli imperatori e particolarmente da
Domiziano che la collegò alla capitale grazie ad una
strada che prese appunto il suo nome.
Il Tempio di Serapide
E’ una delle maggiori testimonianze monumentali di epoca
romana, conosciuta comunemente col nome di Serapeo. Il nome
è dovuto alla scoperta nell’edificio della statua di
Serapis, un’antica divinità egizia venerata in epoca
greca e romana. Ma in realtà si trattava di un mercato
pubblico dalle dimensioni considerevoli. Sul lato opposto
all’entrata principale sorgeva un ambiente semicircolare
con numerose nicchie ornate di statue. La porzione centrale
dell’ampio edificio era occupata da un podio circolare con
una fontana nel mezzo e circondata da statue e da un gruppo di 16
colonne in marmo africano. Questa costruzione risale al periodo
Flavio. Aldilà del suo enorme interesse architettonico ed
archeologico, il tempio di Serapide risulta molto importante
perché permette di “leggere†agevolmente la
dinamica del bradisismo a Pozzuoli attraverso i secoli. Difatti
sui resti di alcune delle antiche colonne dell’edificio
sono ancora oggi visibili i fori prodotti dai litodomi- un tipo
di mollusco: è chiaro anche che quei fori comprovano la
diversa altezza dell’acqua nell’antichitÃ
rispetto ai giorni nostri dovuta al bradisismo.
Anfiteatro Flavio
L’Anfiteatro Flavio fu costruito al tempo di Vespasiano
nella seconda metà del I secolo d.C. In ordine di
grandezza, questo edificio risulta essere il terzo degli
anfiteatri in Italia dopo il Colosseo (Roma) e quello di Santa
Maria Capua Vetere. Ma l’interesse maggiore è dato
dai suoi sotterranei, i più estesi e meglio conservati
dell’antichità , costruiti in laterizio. Questi
sotterranei, costruiti prevalentemente con mattoni, furono
completati durante il I ed il II secolo d.C. e sono intatti
ancora oggi. Da un vicino acquedotto proveniva l’acqua per
allagare l’arena così che le battaglie navali
(conosciute come Naumachie) potessero aver luogo.
L’anfiteatro originariamente era dotato di tre ordini di
arcate con circa 40.000 posti a sedere.
SOLFATARA
Appena fuori dalla città vi è la Solfatara.
Conosciuta presso i Romani come Forum Vulcani, è in
realtà il largo cratere di un vulcano quiescente. Il
periodo di quiescenza di questa formazione vulcanica vicino
Pozzuoli è una delle tipiche fasi di attivitÃ
post-vulcanica; un periodo durante il quale l’unico segno
di vita del vulcano è la produzione di gas sulfurei che
creano depositi di zolfo. Il cratere stesso ha una forma
ellittica. Le uniche costruzioni all’interno del cratere
sono l’antico Osservatorio, situato vicino alla cosiddetta
Bocca Grande, e la Fornace nella quale i vapori raggiungono
temperature intorno ai 100° C. Uno dei fenomeni più
caratteristici all’interno del cratere della Solfatara
è la condensazione del vapore acqueo che forma piccole
nuvole in presenza di una fiamma.
BAIA
Borgo Marinaro, località balneare e centro archeologico di
notevole importanza, in pittoresca posizione in fondo
all’insenatura omonima. Secondo la leggenda prese il nome
da Baios, uno dei compagni di Ulisse, qui sepolto e onorato. Ma
la celebrità di Baia è dovuta alle sorgenti termali
che scaturivano copiosissime dalle colline circostanti e dal lido
stesso, oltre che alla dolcezza del clima e alla bellezza dei
suoi dintorni. A Baia, Caligola compì una delle sue
più famose stravaganze: la costruzione di un ponte di
barche da Pozzuoli a Baia, lungo due miglia romane, per
abbreviare la distanza fra le due città . Più tardi
i fenomeni eruttivi e soprattutto quelli bradisismici fecero
scomparire gran parte dei grandiosi monumenti di Baia.
Zona Archeologica di Baia
Gli Scavi di Baia hanno portato alla luce un grandioso complesso
imperiale romano (I-IV sec. d.C.) esteso sul pendìo della
collina sovrastante l’abitato su un fronte di circa 450
metri e con un dislivello di 80. Si possono distinguere tre
nuclei: all’estremità Sud il settore “di
Venereâ€, al centro il settore “di Sosandraâ€, ad
Est il settore “di Mercurioâ€, distinti da grandi
scale di accesso e comunicazione. Dall’ingresso un vialetto
conduce alla terrazza, fiancheggiata da resti di un portico su
pilastri, sovrastante il “settore di Mercurioâ€: alle
spalle sono una serie di cisterne intercomunicanti. Al termine
della terrazza scendendo alcuni gradini si accede al
“settore di Sosandraâ€, vasto rettangolo delimitato
nei lati lunghi da due scale parallele, distribuito in tre
terrazzamenti. Il terrazzo superiore è occupato da un
quartiere di soggiorno; in un ambiente, aperto da nicchie,
è stata trovata la statua di Sosandra, magnifica replica
in marmo di un bronzo greco del V sec. a.C.. ora al “Museo
Archeologico Nazionale di Napoliâ€. Nella terrazza mediana
è sistemato un piccolo Teatro-ninfeo, con una vasca al
centro dell’orchestra: serviva tanto per rappresentazioni
teatrali o musicali, quanto come luogo di riposo e belvedere. La
terrazza inferiore, a oltre 8 m più in basso, è
occupata da una grande piscina rettangolare o “Bagno di
Sosandraâ€, originariamente alimentata da una sorgente
sulfurea che ancora scaturisce ai piedi della collina. Dalla
piscina un corridoio, incassato nel terreno e coperto da una
serie di archi, conduce al grandioso edificio centrale del
“settore Mercurioâ€, chiamato impropriamente
“Tempio di Mercurio†dalla tradizione umanistica
napoletana, o anche Tempio dell’ Eco, per l’effetto
acustico prodotto all’interno della volta.
BACOLI – CAPO MISENO
Il Castello di Baia fu fatto costruire su ordine del
vicerè don Pedro di Toledo al fine di difendere la costa
dai numerosi attacchi dei corsari. Oggi il castello è sede
di un interessante museo. Bacoli è un popoloso e
pittoresco paese di pescatori e località balneare. Nelle
vicinanze della spiaggia sorgono le rovine della cosiddetta Tomba
di Agrippina, un rudere nel quale la tradizione volle riconoscere
il sepolcro di Agrippina, madre di Nerone, fatta uccidere dal
figlio. Percorrendo la via principale della città si
arriva alle vicine Cento Camerelle , singolare e grandioso
impianto di serbatoi d’acqua di una delle più
antiche e celebrate ville della regione baiana. Degna di nota
è anche la Piscina Mirabile, immenso bacino rettangolare
scavato nel tufo sulla Punta del Poggio nella prima etÃ
augustea, per assicurare l’acqua alla flotta stazionante a
Miseno. Capo Miseno è un piccolo villaggio in pittoresca
posizione tra la Punta della Sarparella e le pendici nord del
Monte Miseno. Ebbe origine da una colonia militare fondata nel 31
a.C. da Augusto, ma fu distrutto nel IX secolo dai Saraceni.
CUMA
Cuma è un centro archeologico della massima importanza
situato all’estremità ovest dei Campi Flegrei. Sede
di una delle più antiche colonie greche in Italia,
è celebre soprattutto per il santuario della Sibilla
Cumana. Fu fondata nell’VIII sec. a.C. dai Calcidiesi di
Eubea. Fra il VII e il VI secolo il dominio della città si
estese a tutta la regione flegrea, e i porti di Miseno e
Putéoli divennero parte dello stato cumano; seguì
la fondazione di Neapolis.
Zona Archeologica
Il sito archeologico di Cuma è famoso soprattutto per
l’Antro della Sibilla Cumana che fu uno dei più
venerati dell’antichità . L’antro consta di una
galleria rettilinea lunga circa 130 metri. Dei primi 25 metri
restano soltanto gli stipiti dell’ingresso e il nascimento
delle pareti; per tutto il suo ulteriore sviluppo la galleria
è perfettamente conservata. In fondo all’antro, poi,
si apre una camera rettangolare: è questa la Stanza
Oracolare ove la Sibilla pronunciava i suoi vaticini. Di fianco
all’ Antro della Sibilla si sale la gradinata
d’accesso all’Acropoli. Seguendo la cosiddetta Via
Sacra si trovano i resti del Tempio di Apollo. Della primitiva
costruzione di età greca e sannitica rimane solo la grande
platea. Nel VI o VII sec. il tempio fu trasformato in basilica
cristiana. Davanti al tempio sorgono un’esedra e una
cisterna di età greca. Riprendendo la Via Sacra si arriva
ai resti del Tempio di Giove. Eretto in età greca
(metà del V sec. a.C.) fu ricostruito al tempo di Augusto
e trasformato nel V-VI sec. in basilica cristiana. Scavate nel
pavimento o addossate ai muri si notano numerose tombe per
sepoltura di cristiani.
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L'ISOLA DI CAPRI
Capri è un’isola calcarea di circa 10 chilometri
quadrati e geologicamente è la continuazione della
Penisola Sorrentina, da cui dista 5 chilometri. Sorge da un mare
profondo tutta montuosa, con le coste in molti punti dirupate ed
inaccessibili, piene di grotte e di antri e circondate da scogli
di forme fantastiche (celebri i Faraglioni). Il nome di Capri,
secondo alcuni storici, deriverebbe dal greco Kapros-cinghiale.
Altri invece, l’attribuiscono all’origine latina,
cioè Capreae. I primi abitanti dell’isola furono i
Teleboi che si stabilirono aCapri nell’VIII secolo a.C.
Dell’antica acropoli greca restano solo le mura di
fortificazione. Ma nel 1906, durante i lavori di ampliamento
nell’albergo Quisisana, furono rinvenuti dal medico caprese
Ignazio Cerio alcuni resti di animali preistorici ed armi in
pietra Il primo scopritore di Capri fu Augusto nel 29 a.C. che,
innamoratosi dell’isola, la toglie dalle dipendenze di
Napoli scambiandola con la fertile Ischia. Inizia il suo dominio
privato seguito dalla fiorente edilizia che il suo successore
Tiberio attuò dal 27 al 37 d.C, con la costruzione di ben
12 ville.I grandi eventi politici che si svolsero tra il VI ed il
XIX secolo a Napoli, con il succedersi delle dinastie Angioine,
Aragonesi, Spagnole e Borboniche, ebbero a Capri scarsi riflessi.
L’isola esposta alla scorreria Musulmana restava
abbandonata a sé stessa e la migliore difesa dei capresi
era quella di disertare l’abitato della Marina per
rifugiarsi sulle alture. Capri era povera di risorse e con una
popolazione decimata dalle piraterie e dalla peste. Fra il
Seicento ed il Settecento, si aggiunse la rivalità dei due
Comuni di Capri ed Anacapri, per la non facile regolamentazione
dei reciproci diritti di giurisdizione civile ed ecclesiastica.
Attraverso l’ultima eroica vicenda di sbarchi, i Francesi
completarono le fortificazioni sull’isola e vi restarono
fino al crollo della potenza Napoleonica e alla restaurazione
Borbonica del 1815. Capri esce così dal lungo letargo e si
affaccia entusiasta alla “vita romanticaâ€
dell’800. Iniziarono le corse verso l’isola beata di
solitudine e di semplicità paesana, i soggiorni prolungati
e le residenze definitive di artisti, di scrittori, di poeti
stranieri. L’albergo Pagano, il primo albergo di Capri,
ospitò nel 1826 il tedesco Augusto Kopisch. L’esodo
degli intellettuali russi, dopo la guerra russo-giapponese del
1905, contribuì a fare di Capri, un rifugio
letterario-politico. In quegli anni giunse Massimo Gorki, accolto
benevolmente dall’ambiente cosmopolita dell’isola.
Oggigiorno, natura, storia, celebrità e cultura hanno
fatto di Capri una dei grandi centri d’attrazione turistica
al mondo. I “Faraglioniâ€, (simbolo dell’isola),
la celebre piazzetta “Umberto I†, (definita il
“salottino del mondo†per la sua mondanità ), i
“Giardini di Augustoâ€, la “Grotta
Azzurraâ€, famosa in tutto il modo, fanno di questa isola un
posto unico.
GROTTA AZZURRA
La Grotta Azzurra è una meravigliosa caverna naturale
riempita per metà dal mare. La luce del giorno vi penetra
non direttamente, ma per rifrazione dagli strati d’acqua,
riempendo la grotta di un colore azzurro-turchese di
straordinaria intensità . Era nota già agli Antichi,
ma senza quegli splendidi effetti di luce turchese per cui
è celebre, sicché se ne perdette il ricordo. Ma gli
isolani la conoscevano sin da quando il pescatore caprese Angelo
Ferrara la scoprì casualmente. In verità , la grotta
era già segnata nella carta di Capri pubblicata
nell’"Isolario" del Principe Vincenzo Coronelli
(Venezia, 1696) coll’antico nome di "Grotta
Grà dola". Ad ogni modo deve la sua notorietÃ
alla menzione fattane del poeta Hans Christian Andersen
nell’"Improvisator"(1835) e alle descrizioni di
altri celebri visitatori dell’isola quali Mendelssohn,
Dumas ed altri.
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L'ISOLA DI ISCHIA
L'isola di Ischia, gemma dell'arcipelago partenopeo,
sorge di fronte al capo Miseno, con aspre coste frastagliate
inframmezzate da alcune calette. Di origine vulcanica, è
ricca di sorgenti termominerali e di fumarole che emanano i loro
vapori in più parti del territorio. Oltre all'
agricoltura, le risorse degli abitanti sono la pesca,
l'artigianato e soprattutto il turismo, favorito dal clima
mite e dal magnifico paesaggio. Sull'isola si trovano sei
comuni, collegati dalla strada statale 270. La visita comincia da
Ischia, il centro principale, divisa in due
parti ben distinte. Il nucleo più antico (Ischia Ponte) si
stringe compatto attorno al castello aragonese, che sorge su uno
scosceso isolotto collegato all'isola maggiore dal ponte
aragonese della prima metà del XV secolo. Si tratta di un
complesso di grande interesse storico che, con la sua struttura
fortificata, testimonia l'importante funzione strategica
svolta da Ischia quale baluardo difensivo del golfo di Napoli.
Entro il perimetro di mura si notano costruzioni di diversi
periodi: l'antica cattedrale trecentesca rinnovata in forme
barocche, l'ex convento delle Clarisse con il cimitero e la
chiesa dell' Immacolata, costruita nel XVIII secolo. Il
nucleo recente del paese (Ischia Porto) si distende, immerso
parzialmente in una superba pineta, attorno a un tranquillo
porticciolo di forma ellittica, corrispondente ad un antico
cratere messo in comunicazione con il mare alla metà del
secolo scorso. Lasciata Ischia, percorrendo una strada panoramica
che schiude ampie vedute sull'intero golfo partenopeo, si
raggiunge Casamicciola Terme, cara al
drammaturgo norvegese Ibsen e famosa soprattutto per
l'efficacia terapeutica delle sue acque termali. Le sorgenti
ipertermali bicarbonato-alcalino-salso-radioattive del
"Gurgitello" e della "Rita" alimentano gli
stabilimenti dove vengono curati disturbi di varia natura con
fanghi, inalazioni e bagni di vapore. Dopo 3 Km si arriva a
"Lacco Ameno", centro adagiato in una rada chiusa
dal tozzo promontorio del "monte Vico". Salendo sulla
sommità di quest'ultimo lo sguardo abbraccia gli
scenari più suggestivi dell''intera costa
settentrionale: in primo piano appare un caratteristico scoglio
che lo schiaffo incessante delle onde ha scolpito a forma di
fungo, mentre sullo sfondo le case e le ville scendono a cascata
verso il litorale. In paese la chiesa di "Santa
Restituta", costruita sulle fondamenta di una basilica
dell'XI secolo, conserva una notevole cripta, alla quale
è annesso un museo con reperti greci, romani e bizantini.
Nella "Villa Arbusto", immersa in un bel parco, ha sede il
"Museo Archeologico", che espone al pubblico gli oggetti
rinvenuti nella vicina "necropoli di San Montano",
costituita da tombe che vanno dall'VIII secolo a.C. al III
secolo d.C. Attraverso fitti vigneti si arriva a
Forìo, sulla costa occidentale
dell'isola, e ci si reca sulla "punta del Soccorso",
un ripido promontorio vigilato da una bianca e deliziosa
chiesetta in cui sono conservati gli ex voto di emigranti e
marinai. Da questa balconata si ammira anche la bella spiaggia di
"Citara" che, distesa ai piedi di una ripida scarpata
rocciosa, gli antichi Romani dedicarono a "Venere Citarea"
e ad "Apollo Risanatore", quasi a sottolineare la purezza
cristallina del mare in cui si dice che Venere, dea
dell'amore, amasse immergersi. A Forio si può visitare
la "chiesa di Santa Maria di Loreto", di origini
trecentesche e trasformata in periodo barocco. L'edificio
sacro presenta due campanili con copertura di maioliche; accanto
si leva il Torrione, una delle dodici torri erette a difesa
dell'abitato e risalente al tardo Quattrocento. Oltre Forio,
la strada si allontana dalla costa: si percorre così la
parte più impervia dell'isola, dove gli insediamenti
umani sorgono quasi tutti su piccoli poggi. L'unico centro a
contatto con il mare è Sant'Angelo,
che si raggiunge effettuando una deviazione da Panza. L'
antico villaggio di pescatori, ora votatosi a un turismo
d'élite, ha l'aspetto di un alveare aggrappato a
una penisoletta rocciosa. Alla sommità del paese e dal
lato della "Marina di Maronti" si trovano varie sorgenti
ipertermali radioattive salso-bromo-iodiche (90-98°C)
utilizzate per la cura di varie malattie, soprattutto cutanee e
artroreumatiche. Da "Panza" la strada risale verso le
radici dell'Epomeo, massima vetta
dell'isola (788 m), attraversando una serie di nuclei rurali
stretti attorno ai loro campanili (Ciglio, Serrara, Fontana,
Noia). Durante il percorso si possono ammirare residue abitazioni
trogloditiche scavate in spuntoni o massi tufacei. Per i sentieri
della campagna e per le vie dei centri circolano ancora animali
da soma: asini e muli, molto spesso, sono i soli mezzi di
locomozione che consentano di raggiungere i campi terrazzati
situati su erti costoni. Dopo "Fontana", la strada
ridiscende verso la costa e, giunta a "Barano", si infila
in una verde vallata dominata a sinistra dall'Epomeo e a
destra dalle cime tondeggianti del monte dei "Vezzi" e del
monte di "Campagnano". Barano si apre
sulla "piazza di San Rocco", che a sua volta guarda verso
il mare. Vi si trovano la semplicissima "chiesetta di San
Rocco" e la barocca "San Sebastiano", un tempo sede
conventuale, intitolata al patrono del paese. Attraverso una
vallata chiazzata di pini, castagni, vigneti e lindi casali si
ritorna ad Ischia.
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ERCOLANO
Ercolano era una città prevalentemente greca, conquistata dai Romani nel 307 a. C.. Herculaneum, a differenza di Pompei - città essenzialmente commerciale - ebbe un carattere assai più signorile, com'è dimostrato dalla raffinatezza dei suoi ambienti e degli oggetti di scavo. Le prime esplorazioni nel sottosuolo furono eseguite nel 1719 dal principe di Elbeuf, e poi riprese fra il 1738 e il 1766, con la scoperta di insigni monumenti e di una preziosa raccolta di papiri. Sorse appunto, in seguito a tali ritrovamenti, la Real Accademia Ercolanense, che dal 1755 al 1792 illustrò il ricco materiale che veniva a luce. Altri scavi fruttuosi furono quelli diretti da Giuseppe Fiorelli (1869-75) e altri infine, con rigoroso metodo scientifico, si sono iniziati nel 1927 e sono ancora in corso.
Discesi negli scavi, si visiterà prima di tutto il Teatro, costruzione augustea, di cui si conosce l'autore, l'architetto Numizio. Nella zona dei cosiddetti Scavi nuovi si ponga mente sopratutto all'edificio delle Terme, alla Casa del Genio e, di fronte a questa, alla Casa dello scheletro. Più avanti la Casa di Argo, la più bella, che aveva un secondo piano, ora crollato, e che è preceduto da un piccolo portico e circondata da un giardino.
Insigne, fra le ville ercolanesi, la Villa dei Pisoni, in cui si trovò il tesoro dei papiri, nonché gran parte delle sculture che ora sono l'orgoglio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
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LA CITTA' DI NAPOLI
La mitica “Parthenope†e la più documentata
“Neapolisâ€, fondate rispettivamente nel VII e nel V
secolo a.C. dai Calcidesi di Cuma, si fusero poi in un'unica
città che, anche dopo la conquista romana della Campania
– completata tra la fine del IV e l'inizio del III
secolo – rimase greca per cultura e costumi. La bella
città campana, che era al centro di una fascia costiera di
residenze patrizie in età imperiale, soprattutto a partire
dal VI secolo entrò nell’orbita bizantina pur
godendo dall'VIII secolo di governi ducali-vescovili dotati
di ampie autonomie. Nel 1139 venne presa da Ruggero II e
aggregata al grande Regno di Sicilia, con il quale passò,
nel 1194, agli Svevi, sotto lo scettro prima di Enrico VI e poi
di Federico II, fondatore nel 1224 dell'Università che
tutt'oggi porta il suo nome. La conquista Angioina (1266)
segnò per Napoli una svolta estremamente importante: Carlo
I d’Angiò la preferì a Palermo facendola
capitale politica e culturale del Mezzogiorno d'Italia, una
capitale cui lo stesso Carlo e i suoi successori diedero veste
monumentale. Il prestigio della città si rafforzò
ulteriormente con l’arrivo degli Aragonesi, che nel 1442
strapparono agli Angiò-Durazzo il Regno di Napoli e lo
ressero fino al 1503, quando, coinvolto nelle guerre
franco-spagnole, venne ridotto a vicereame alle dirette
dipendenze della Spagna. Il lungo periodo dei viceré
spagnoli (la figura più eminente fu don Pedro de Toledo,
che regnò fra il 1532 e il 1553) aggravò le
condizioni sociali di Napoli, dando origine al fenomeno del
sovraffollamento e registrando avvenimenti drammatici:
l'eruzione del Vesuvio nel 1631; la rivolta del 1647
capeggiata da Masaniello; la peste e il terremoto del 1656, che
determinarono demolizioni e speculazioni tali da far scrivere a
Carlo Celano, nel 1692, che gli architetti in quel tempo fecero
più danni che il terremoto stesso. Occupata dagli
Austriaci nel 1707 (nel periodo della guerra di successione
spagnola), nel 1734 Napoli con il regno fu assegnata a Carlo di
Borbone. Eccezion fatta per la parentesi della Repubblica
Partenopea del 1799 e del decennio francese (1806-1815), i re
Borbone sedettero sul trono della capitale partenopea fino al
1860 con l’occupazione garibaldina. Contraddittoria
risultò la condizione di Napoli a partire dal Regno
d'Italia: da un lato l'epidemia di colera del 1884,
l'aggravamento dei problemi socio-economici ereditati dal
passato, i bombardamenti aerei del 1943 e, infine, il terremoto
del 1980; dall'altro i ripetuti segni di vitalità e di
rinascita per tornare a essere la "grande, luminosa e gentil
città " di cui aveva scritto Giambattista Vico. Oggi
Napoli è una città che guarda al futuro con
speranza, e pur ereditando problematiche antiche e mai risolte,
si appresta ad offrire una nuova immagine di sé fatta di
efficienza, cultura, arte e scienza. Da qui i numerosi progetti,
alcuni dei quali già realizzati, che vanno dal Centro
Direzionale al completamento della Metropolitana cittadina, dalla
“Città della Scienza†al grande rilancio del
turismo nella città , dalla forte promozione del
“sistema museale†napoletano a manifestazioni di
indubbio successo quale “Maggio porte aperteâ€.
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IL PALAZZO REALE DI NAPOLI
Nel 1600 il vicerè Fernando Ruiz de Castro, conte di
Lemos diede inizio alla fabbrica del nuovo Palazzo Reale di
Napoli. La ragione fu la preannunciata visita di Filippo III di
Spagna, poi non avvenuta, ai suoi domini napoletani, dal momento
che le varie sedi vicereali (Castelcapuano, Castelnuovo e Castel
dell’Ovo), compreso Palazzo Vecchio, non apparivano adatte
ad ospitare il sovrano. I lavori per il nuovo palazzo furono
affidati a Domenico Fontana il 13 agosto 1595. In precedenza egli
aveva già realizzato l’apertura della strada della
Marina, lo sventramento di Largo di Castello e la sistemazione
della strada di Santa Lucia. Tra il 1611 ed il 1613 Giovan
Battista Caracciolo, Giovanni Balducci e Belisario Corenzio
dipinsero alcune sale del palazzo; l’ultimo vi
lavorò pure tra il 1622 ed il 1629. Sul finire degli anni
venti del XVII secolo l’edificio era ormai abitabile. Ma
nel XVIII secolo il palazzo fu restaurato da Luigi Vanvitelli.
Alcuni archi sulla facciata furono trasformati in nicchie
poiché il celebre architetto riteneva che l’edificio
fosse poco stabile. Più tardi poi Gioacchino Murat e
Carolina Bonaparte decorarono il palazzo reale con mobili in
stile Impero e porcellane. Nel 1837 scoppiò un terribile
incendio che distrusse parte dell’edificio. Questa è
la ragione per la quale furono effettuati altri lavori di rinnovo
ad opera di Gaetano Genovese. Il Palazzo Reale di Napoli fu anche
danneggiato durante la seconda guerra mondiale e poi di nuovo
restaurato. Nel 1888 il re di Napoli, Umberto I collocò
negli archi della facciata 8 statue che rappresentano i re
più importanti delle diverse dinastie che si susseguirono
sul trono di Napoli: Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia,
Carlo I d’Angiò, Alfonso I d’Aragona, Carlo V
di Spagna, Carlo di Borbone, Gioacchino Murat, Vittorio Emanuele
II di Savoia.
Oggi il Palazzo Reale di Napoli accoglie al piano nobile (primo
piano) il Museo ed una importante Biblioteca Nazionale.
Per ciò che concerne il museo, è difficile
descriverne ogni ambiente, ma certamente degni di nota sono il
Teatro, la Sala del Trono e la Sala del Gran Capitano.
Il Teatro:
Inizialmente sala da ballo, questo ambiente fu trasformato in
Teatro Reale da Ferdinando Fuga nel 1768. Questa trasformazione
ebbe luogo quando il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone
sposò Maria Carolina d’Austria. Fu decorato in stile
rococò e le statue in cartapesta che circondano la sala
rappresentano le Muse, Minerva, Apollo e Mercurio. E’ meta
di incontri internazionali e nel 1994 i rappresentanti del G7 si
riunirono in questo teatro. Parzialmente distrutto da una bomba
durante la seconda guerra mondiale, il teatro fu restaurato nella
seconda metà del secolo scorso.
La Sala del Trono:
La Sala del Trono è in stile Impero e risale al 1850.
Sulla volta 14 figure femminili simboleggiano i vari distretti
del Regno di Napoli. Di fronte al trono è posto un
ritratto del re di Napoli Ferdinando I di Borbone che indica la
chiesa di San Francesco di Paola. Alla destra e alla sinistra del
trono due pitture ad olio rappresentano gli ambasciatori di
Tripoli e della Turchia. La sala custodisce anche un’altra
tela che raffigura il re d’Italia Vittorio Emanuele III,
nato in questo palazzo nel 1869.
Il lampadario è di cristallo di Boemia.
La Sala del Gran Capitano:
La Sala è dedicata a Don Salvo de Cordoba, il capitano
spagnolo che conquistò il regno di Napoli nel 1503. Da
allora Napoli perse il suo ruolo di capitale del regno per
divenire una delle tante città dei domini spagnoli.
La volta fu dipinta da Battistello Caracciolo e raffigura il gran
capitano.
Nella stessa stanza è custodita la tela col ritratto di
Pier Luigi Farnese del Tiziano.
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GLI SCAVI DI POMPEI
Gli scavi di Pompei costituiscono oggi uno dei siti
archeologici più celebri e visitati al mondo. Le origini
della città campana sono ancora incerte e discusse:
secondo le teorie più moderne la sua fondazione pare
risalire agli Etruschi nel VII secolo a.C. In epoca romana la sua
ideale posizione geografica e la sua baia incantevole attirarono
molti nobili patrizi che vi costruirono numerose dimore. Ma nel
62 d.C. un tremendo terremoto distrusse quasi completamente la
città . I successivi restauri, lungi dall’essere
conclusi, furono bruscamente interrotti dalla catastrofe finale
del 24 Agosto del 79 d.C.: un’eruzione del Vesuvio
dall’intensità impressionante seppellì in
soli tre giorni e tre notti le città della vicina pianura
sotto una spessa coltre di cenere e lapilli. Scomparvero
così nell’oscurità dell’oblio le
fiorenti città di Pompei, Ercolano, Stabiae, Oplontis e
Boscoreale. E persino il ricordo della loro esatta ubicazione si
perse nella notte dei tempi.
Fu solo per caso che la cittÃ
di Pompei fu ritrovata: negli ultimi anni del XVI secolo a
seguito di lavori idraulici condotti dall’architetto
Domenico Fontana vennero alla luce le prime tracce di questa
città . Ma solo nel 1748 con Carlo di Borbone gli scavi di
Pompei ebbero ufficialmente inizio. Fra gli aspetti più
significativi della scoperta di questa città va ricordato
il notevole livello di conservazione degli antichi oggetti, dalla
statuaria agli affreschi, dal vasellame agli utensili quotidiani,
e così via. In assenza di ossigeno la cenere ha conservato
in maniera incredibile gli edifici pubblici e privati e tutto
ciò che la città custodiva: in un forno sono stati
addirittura trovati 81 pezzi di pane ! Inoltre, particolare
interesse rivestono i numerosi calchi di gesso delle vittime di
quell’eruzione, alcuni dei quali oggi esposti negli scavi.
Durante la tremenda eruzione del 79 d.C., insieme alla cenere ed
i lapilli, fuoriuscirono gas tossici che soffocarono gli abitanti
di Pompei i cui corpi furono seppelliti dal materiale eruttivo.
Nei secoli, naturalmente, i resti organici di quelle vittime si
deteriorarono fino a scomparire e a lasciare nella cenere delle
cavità quasi completamente vuote: il celebre archeologo
Giuseppe Fiorelli pensò allora di riempire questi spazi
vuoti con del gesso liquido così da ottenerne dei calchi
che provocano ancora oggi in ogni visitatore meraviglia e
stupore.
APERTURA/CHIUSURA SCAVI DI POMPEI:
Da Aprile ad Ottobre le rovine sono aperte dalle 8.30 alle
19.30, ma la biglietteria è aperta fino alle ore 18,00
Da Novembre a Marzo le rovine sono aperte dalle 8.30 alle 17.00,
ma la biglietteria è aperta fino alle ore 15.30
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IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI
I lavori per la costruzione dell’edificio dove oggi
sorge il Museo Archeologico Nazionale di Napoli furono eseguiti
fra il 1582 ed il 1586 per ordine del Duca di Ossuna e disegnato
dall’architetto Giulio Cesare Fontana. Si decise che fosse
la “Scuola Reale di Equitazioneâ€, ma l’opera
non poté mai condursi a termine per difetto di
approvvigionamento idrico nella zona. I cantieri furono ripresi
solo più tardi dal viceré di Napoli conte di Lemos
che affidò i lavori della fabbrica a Domenico Fontana per
farne “Palazzo degli Studi†(1616) fino al 1777.
Ulteriori modifiche seguirono fra il 1780 ed il 1820 a cura degli
architetti Fuga e dello Schiantarelli per l’adattamento
dell’edificio a Museo. Quest’ultimo deve la sua
origine alle preziose collezioni di scultura e di pittura che
Carlo di Borbone, re di Napoli e figlio di Elisabetta Farnese,
ereditò dallo spento ramo della famiglia materna: erano in
maggioranza sculture che i Farnese (e segnatamente Paolo III)
avevano trovato a Roma durante un periodo di straordinarie
scoperte alle Terme di Caracalla e al Palatino o che, come la
raccolta di gemme, aveva ereditato dai Medici di Firenze. Intanto
Carlo di Borbone, negli anni trenta e quaranta del XVIII secolo,
avviava la fervida campagna di scavi di Pompei ed Ercolano grazie
alla quale si rinvennero magnifici tesori
dell’antichità . Al nucleo farnesiano, dunque, si
aggiunse questa immensa miniera di ritrovamenti delle antiche
città campane, a cui poi si affiancarono anche altre
raccolte quali la “Collezione Borgia†ed altri
lasciti ed acquisti. Durante tutto il XVIII ed il XIX secolo il
museo continuò a ricevere numerose opere d’arte, sia
da collezioni private che dagli scavi di Pompei, Ercolano,
Stabiae, Paestum, Cuma ed in numerose altre località del
Regno di Napoli.
Oggi, i tesori qui custoditi rappresentano una delle collezioni
d’arte greca e romana più complete al mondo. Il
Museo Archeologico Nazionale di Napoli riveste particolare
importanza per le seguenti sezioni:
· Statue marmoree e bronzee: degne di nota sono “Il
Doriforo†di Policleto, Ercole Farnese, lo splendido
bassorilievo di Orfeo ed Euridice, il Toro Farnese.
· Collezione di gemme
· Sezione Egizia
· Mosaici: questa sezione è fra le più
importanti al mondo: di particolare importanza e bellezza
è il più grande mosaico dell’antichitÃ
“La Battaglia di Alessandroâ€, che rappresenta
l’imperatore Macedone sconfitto da Alessandro Magno nel 333
a.C. ad Isso. Nella stessa sezione fanno bella mostra di
sè mosaici raffiguranti animali, scene di vita quotidiana,
musici e persino Platone con i suoi studenti.
· Sezione dedicata alla “Villa dei Pisoniâ€
dove sono custodite statue provenienti appunto dalla suddetta
villa
· Terracotte invetriate, vetri, opere antiche in avorio ed
osso, argenteria, armi gladiatorie · Affreschi, la maggior
parte dei quali provenienti dalle rovine di Pompei, Ercolano e
Stabiae. · Vasi
Museo Archeologico Nazionale:
Piazza Museo tel.081440166 orario : feriali 9.00 - 20.00 chiuso
il martedì ingresso: euro 6,50 per i visitatori dai 18 ai
65 anni, gratuito per gli altri
Stazione Metropolitana più vicina: Piazza Cavour &
Museo.
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IL MUSEO DI CAPODIMONTE
La costruzione del Palazzo Reale di Capodimonte inizia nel
1738 per volere del re di Napoli Carlo di Borbone nella zona
collinare a nord della città . L’edificio consente al
nuovo sovrano di far coincidere la sua intensa passione per la
caccia, assecondata dalla ridente vegetazione della collina di
Capodimonte, all’esigenza di trovare una sede adeguata
all’immenso patrimonio artistico ereditato dalla madre,
Elisabetta Farnese, ultima discendente di una delle famiglie
più prestigiose del Rinsascimento italiano.
La prima pietra viene posta nel 1738. I lavori però procedono a
rilento. Soltanto nel 1758, Carlo di Borbone può collocare
nella nuova residenza reale l’imponente raccolta
d’arte di famiglia. Nel 1742 l’architetto Ferdinando
Sanfelice inizia la sistemazione del bosco. Alcuni edifici
esistenti sono restaurati e trasformati nella sede delle
fabbriche reali, tra cui va ricordata quella delle porcellane,
celebre in tutto il mondo. Nella seconda metà del XVIII
secolo, in linea con i nuovi sviluppi della museografia
illuminista, comincia a farsi strada nella mente dei Borbone
l’idea di realizzare un Museo Generale in grado di
raggruppare tutti gli oggetti d’arte di proprietÃ
della Corona. Il trasferimento delle collezioni d’arte
avviene durante il decennio francese (1806- 1815). Per la reggia
di Capodimonte si aprono nuovi scenari: diviene teatro
privilegiato di eventi mondani e cerimonie sontuose.
Il ritorno
dei Borbone sul trono di Napoli conferma la destinazione
residenziale dell’edificio. Con l’UnitÃ
d’Italia, sotto la guida di Annibale Sacco, alcuni ambienti
del piano nobile vengono destinati a sede di una galleria di
pittori e scultori contemporanei. Capodimonte, insomma, ripropone
la sua duplice funzione di reggia-museo: è residenza, fin
dopo il secondo conflitto mondiale, dei Duchi d’Aosta e
ospita contemporaneamente, nelle sale al piano nobile, dipinti e
suppellettili, oggetti d’arte e d’arredo provenienti
dai siti reali borbonici soppressi, tra cui i pannelli in
porcellana che rivestivano le pareti del boudoir della regina
Maria Amalia di Sassonia nella Reggia di Portici. Nel 1950, si
decide di ripristinare la piena ed esclusiva funzione di Museo.
Ritornano sulla collina di Capodimonte le collezioni d'arte
medioevale e moderna dal Museo Nazionale. Oltre alla collezione
Farnese oggi è possibile ammirare opere straordinarie
provenienti dalle chiese napoletane e meridionali (Simone
Martini, Colantonio, Caravaggio) e altre acquisizioni
prestigiose, come le collezioni Borgia e D’Avalos. Al primo
piano è possibile visitare l’Appartamento Reale con
le manifatture borboniche, tra cui le celebri porcellane. Al
secondo e al terzo livello ci sono la Galleria Napoletana e le
sezioni dell’Ottocento e dell’arte contemporanea.
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LA CAPPELLA DI SANSEVERO
La Cappella di Sansevero è un gioiello del patrimonio
artistico europeo. Situata nel centro storico di Napoli, questo
splendido tempio rappresenta il singolare esempio di un fascino
monumentale che, ancora oggi, attrae visitatori da ogni parte del
mondo. Fondata sul finire del Cinquecento in seguito ad un evento
miracoloso, la Cappella rinasce quasi due secoli più tardi
grazie alla straordinaria personalità e al genio del
Principe Raimondo di Sangro, alchimista e scienziato, che
ritroviamo qui trasfusi in ogni elemento artistico,
architettonico e scientifico.
Si possono ammirare opere scultoree del Seicento e del
Settecento, tra cui il Cristo Velato del
Sammartino, il Disinganno del Quierolo,
La Pudicizia del Corradini e le misteriose
Macchine Anatomiche, frutto dell'ingegno del
principe.
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LE DESTINAZIONI PIÚ RICHIESTE |
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