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LIMONETI DI SORRENTO

Limoni di Sorrento

Un ambiente naturale decisamente "caratterizzante" l'area sorrentina sono i celebri limoneti.
Il limone di Sorrento appartiene alla specie colitivata “Ovale di Sorrento” , meglio conosciuta come “Femminello”. Questo frutto pesa almeno 85 grammi, è ellittico nella forma, ha un forte profumo ed è molto succoso. La parte gialla della buccia è ricca di olii essenziali ed il succo del frutto è una combinazione, immediatamente riconoscibile, di zucchero ed acido citrico. Nel 2000, il “Femminello” ha ricevuto il riconoscimento "Indicazione Geografica Protetta" (PGI) dall’ Unione Europea. Questo riconoscimento protegge la specie e definisce l’area dove il limone può essere coltivato, come la Penisola Sorrentina e l’Isola di Capri. Il marchio PGI richiede anche che la coltivazione sia portata avanti in un modo specifico, sotto le “pagliarelle”, che proteggono il frutto dalla salsedine nell’aria, dai cali di temperatura e dai ritardi nella maturazione (che sono tipici dei limoni). I limoni fioriscono più volte: in Ottobre, il primo frutto (“primofiore”) dà i limoni più succosi; in Marzo maturano i “bianchetti”; ed in Giugno i “verdelli”.

A causa della loro bellezza colma di sole, i limoni furono usati inizialmente come piante decorative e addirittura celebrati in "rawdija" (un genere di poesia araba). Furono gli Arabi tra l’altro che scoprirono le proprietà curative degli olii essenziali e dei succhi estratti dalla scorza, fiori e frutti del "laymun" (limone), "narang" (agrumi), "‘utrug" (cedro) e così via. Anche la distillazione di "al-kuhul" (alcol) tramite l’ "al-inbiq" (alambicco) è parte della farmacopea Araba. L’aggiunta di erbe aromatiche all’alcool produce "al-iksir" (elisir), che, per secoli furono vitali per medici, chimici e nei monasteri. Qualche volta nel XV o XVI secolo, i monaci iniziarono a combinare alcool profumati con sciroppi dolci, dando così inizio all’era dei liquori e dei rosoli (liquori dolci). Sarà invece sempre un mistero se fu un monaco o una capace massaia che per prima “macerò” scorze di limone nell’alcool e nello sciroppo di zucchero, ma il risultato, “limoncello” o “limonillo” nel dialetto di Sorrento, è ora un tipico prodotto locale.

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CHIESA DEL PIO MONTE DELLA MISERICORDIA

Chiesa del Pio Monte della Misericordia

Nella chiesa di Napoli "Pio Monte della Misericordia" fa bella mostra di sè lo splendido dipinto "Nostra Signora della Misericordia" del Caravaggio - venne commissionato al pittore lombardo (Michelangelo Merisi, Milano ? 1471 - Porto Ercole 1610) nell'anno 1607. Nel quadro sono rappresentate le opere di Misericordia corporale, in un'unica, complessa raffigurazione, dove i personaggi sintetizzano con pochi, essenziali gesti tutta l'essenza della carità cristiana, rappresentata con le vesti della quotidianità plebea.
La scena, che sembra ambientata in un animato vicolo nella "verità nuda di Forcella o di Pizzofalcone" (Longhi), viene illuminata da una fonte artificiale di luce proveniente dall'alto a sinistra, mettendo in evidenza col suo fascio le case e le persone colpite lasciando il resto nell'ombra.
Le "Opere della Misericordia", definito il più importante quadro religioso del Seicento (Longhi, Argan, Causa) determinò a Napoli un modo rivoluzionario di concepire la pittura, compromettendo la credibilità culturale dei tanti locali di estrazione tardo-manierista.

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MUSEO DI SAN MARTINO

Museo San Martino

La Certosa di S. Martino è considerato il museo di Napoli più vario e sorprendente ; ricco per bellezza artistica, curiosità e vari elementi di stile, questo museo offre un meraviglioso panorama dalle sue finestre e terrazze. Costruito sulla collina del Vomero, ai piedi di Castel Sant’Elmo, il museo è costituito da una chiesa del 18° secolo con diverse sagrestie talmente ricche di capolavori d’arte da sembrare delle gallerie di arte Napoletana di quel tempo. Inoltre, nello stesso complesso monasticom si possono trovare tra gli altri: un bel chiostro opera di Cosimo Fanzago, altri piccoli chiostri, lunghe stanze che registrano la storia di Napoli, modelli di navi, gioielli, note dal teatro di Pulcinella, costumi e uniformi, maioliche d’Abruzzo, i pastori del presepe ecc.

Un attento visitatore potrebbe passare ore intere in questo museo, esaminando attentamente il contenuto di tutte le bacheche, scoprendo dettagli sempre nuovi nelle decorazioni delle stesse stanze, ammirando gli scorci di panorama che cambiano da una finestra all’altra fino al grande balcone dal quale si puo’ godere della vista di tutta la città, da Capodimonte a Posillipo: il famoso balcone sospeso sulla Baia. Il museo era un vecchio monastero, costruito nel 14° secolo, ma il suo stile attuale è barocco. Fanzago lavorò qui per molti anni, e tutti gli artisti di Napoli, o che operarono a Napoli a quei tempi, hanno lasciato il loro segno a S. Martino. Nel 1860 i Cartesiani dovettero abbandonare il Monastero, a causa delle leggi che sopprimevano gli ordini religiosi, e da allora divenne un museo, in crescita lenta ma sorprendente tra le celle, i corridoi e le stanze di ogni grandezza.

IL PRESEPE A NAPOLI

Il presepe non nacque a Napoli: la prima opera del genere fu infatti realizzata da S. Francesco con persone viventi nelle Grotte di Gubbio. Ma a Napoli il presepio ha assunto un significato particolare ed un effetto realistico introducendo la vita contemporanea nella scena mistica. Il 18° secolo ha visto il trionfo del barocco e ha dato al presepio ricchi elementi decorativi che spesso si rifanno all’arte di scultori riconosciuti come Sammartino, il creatore del “Cristo Velato” nella Cappella di Sansevero, Vassallo, Gori, Celebrano, che hanno lasciato grandi statue di marmo per modellare, uno per uno, le piccole figure di terracotta che rappresentano le persone del popolo, le lavandaie, i bovari, i venditori ambulanti e gli animali. I modelli sono scelti direttamente dai vivaci Napoletani del tempo. E così interi quartieri di Napoli vennero trasferiti nei presepi insieme alle abitudini e agli abiti del 18° secolo, senza nessuna evidente connessione con la rappresentazione di Betlemme. Ma è proprio questo risaputo anacronismo che ha dato bellezza al presepio Napoletano, offrendo una fioritura di verità e fantasia alla scena della Natività, in una cornice di Vicereame Spagnolo e di regno di Carlo di Borbone. Re Carlo di Borbone stesso metteva i pastori nel suo presepe personale, e la regina Amalia, personalmente cuciva gli abiti dei pastori, mentre un insieme di falegnami, vasai, artigiani, gioiellieri creava un mondo in miniatura che si armonizzasse con i piccoli pastori. Ogni Napoletano voleva il suo presepe in casa, e molti di questi presepi sono ancora conservati da alcuni devoti collezionisti. Il più grande presepio del mondo è quello del Museo di S. Martino, che è come un catalogo di pastori dei più famosi artisti.
Ma l’ammiratore più appassionato non può trascurare il piccolo prezioso museo privato della collezione Catello in Via Cimarosa, e può richiedere al Conte Leonetti, all’avvocato Perrone e ad altri noti collezionisti il permesso di visitare le loro collezioni. Altri famosi presepi sono quello in marmo della chiesa di Monteoliveto, e quello in legno a S. Giovanni a Carbonara; ma a Natale quasi tutte le Chiese hanno il loro incantevole presepio.

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GLI SCAVI DI STABIAE

Gli Scavi di Stabiae

Dell’antica città di Stabiae non si sa quasi nulla: il sito stesso del centro urbano è ignoto. Le notizie sono quelle storiche e archeologiche (relative alle aree di necropoli): la prima occupazione si data approssimativamente all’VIII secolo a.C., periodo in cui i corredi funerari divengono ricchi e meglio documentati. Nel corso del VI secolo a.C. la cultura materiale, fino ad allora improntata ad un circoscritto localismo, si arricchisce di influssi e importazioni greche, ma anche di imitazioni occidentali prodotte in officine etrusche. E’ nell’orbita etrusca che il sito di Stabiae sembra svolgere la gran parte della sua storia più antica, fino a confluire più tardi, con l’arrivo dei Sanniti, nella confederazione nucerina. Durante le guerre sannitiche capitola dopo un lungo assedio delle truppe romane nel 308 a.C. A causa della sua posizione strategica venne quasi completamente distrutta durante la guerra sociale e da quel momento in avanti, fino all’eruzione del 79 d.C., la storia cittadina diviene poco più che ordinaria. Le strutture realmente visibili sul territorio sono quelle relative ai quartieri residenziali suburbani con alcune notevolissime ville.

DESCRIZIONE:

Le due ville maggiori sono la Villa Arianna in Campo Varano e la Villa di San Marco. La villa Arianna venne inizialmente scavata in età borbonica nella seconda metà del XVIII secolo da Carlo Weber, il quale rimosse ogni tipo di decorazione, dagli affreschi ai mosaici. La struttura residenziale risale nel suo nucleo originario ad epoca tardo-repubblicana; venne successivamente ampliata, con l’aggiunta di ambienti sul lato posteriore, nel corso del I secolo d.C. Nell’area archeologica è possibile individuare il quartiere termale, con "calidarium absidato" e "praefurnium" ancora leggibili, originariamente decorato in "opus sectile". Dei pochi affreschi ancora visibili vanno segnalati "l’Arianna abbandonata a Nasso", sulla parete dell’ampio triclinio, "Ganimede rapito dall’aquila", nel vestibolo annesso, "Perseo e Andromeda", in una sala attigua, purtroppo danneggiato dal Weber. Lungo l’asse su cui si apre il "triclinio estivo" si succedono ambienti più o meno grandi decorati con caratteristiche decorazioni a fondo bianco e giallo, che rompono con la tradizione decorativa ellenistica, nella quale predominavano grandi pannelli figurati, e prefigurano analoghe ma meno raffinate decorazioni che saranno l’ornamento prediletto di ricchi latifondisti e mercanti delle più lontane province dell’impero. Poco oltre si trova il monumentale "peristilio", che si snoda per un circuito complessivo di m 370, che ripete il canone indicato da Vitruvio per le palestre. Dalla parte opposta si trova invece il nucleo repubblicano della villa. In esso "cubicola" con pregevoli decorazioni a mosaico si articolano intorno all’asse canonico atrio-peristilio, tipico delle residenze vesuviane del I secolo a.C.

La villa di San Marco venne edificata nella prima età augustea, per poi essere modificata a più riprese nel corso del I secolo d.C., in particolare durante l’età claudia. Le strutture visibili sono state gravemente compromesse dal sisma del 1980, che ha reso necessari massicci interventi di restauro. Si entra da un vestibolo che immette nell’atrio, su cui si apre il "larario", con decorazione a finto marmo. L’area destinata ai bagni si annette al resto della costruzione con un asse differente, dovuto alla presenza di una strada che ne ha condizionato l’orientamento. Gli affreschi originari sono stati distaccati e portati nel locale Antiquarium. Gli autori degli affreschi di questa parte della villa sono gli stessi ai quali si deve la decorazione della Villa Imperiale di Pompei. La successione degli ambienti è quella tipica, che dispone in sequenza di "frigidarium, tepidarium e calidarium". Una grande porzione della superficie della villa è occupata dal giardino che si distende a partire dalla monumentale facciata di un finto ninfeo, arricchito da un "peristilio anulare" e da raffinatissimi mosaici parietali. Di altissimo livello l’affresco che decora la "diaeta" al termine del portico laterale orientale, con rappresentazione di "Perseo e Cassandra". L’identificazione dei proprietari nei “Virtii”, nota famiglia stabiana, è ipotetica.

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VILLA DI POPPEA

Affresco rappresentante dei fichi

La cosiddetta “Villa di Poppea” è probabilmente la più grandiosa ed elegante fra le ville suburbane riportate alla luce sinora. Come per Pompei ed Ercolano, anche questa nobile dimora fu sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 DC sotto una spessa coltre di materiale vulcanico: 6 metri circa di cenere e lapilli e poi un consistente strato di fango.
I primi scavi nell’area conosciuta col nome di “Mascatelle” furono intrapresi al tempo dei Borbone., e “saggi di scavamento” sono documentati per gli anni 1839 e 1840. Ma il primo scavo sistematico è iniziato solo nel 1964 ed è ancora in corso.

Nel momento in cui la cenere ed il fango hanno completamente seppellito la villa, a seguito dell’eruzione del Vesuvio del 79 AD., la bella dimora era probabilmente inabitata e sottoposta a lavori di restauro: finora nessuna traccia di vittime umane o animali si è recuperata; mancano nei vari ambienti quelle suppellettili, quegli oggetti, quelle opere d’arte, che nelle città vesuviane sono segno d’una vita interrotta bruscamente. Per contro, indizio di lavori in corso e tutto quanto si è trovato fuori posto: colonne marmoree distese a terra lungo le pareti del grande salone, sculture decorative ammucchiate in un angolo del porticato, gruppi di lucerne imballate ed accantonate in una stanza, come se fossero tenute in deposito.

Sul piano storico-sociale la villa romana di Oplontis deve certamente inquadrarsi in un ambiente facoltoso e raffinato sia per quanto riguarda la sua prima fase di vita, come lo dimostra la qualità dell’architettura e della pittura, sia per quanto riguarda la fase successiva, fino al suo seppellimento, anche se essa possa aver cambiato di proprietario nel corso della sua vita stessa. Ma è molto difficile allo stato attuale delle nostre conoscenze indicare di questa villa l’ipotetico proprietario E’ forse lecito però poter avanzare una ipotesi. Sopra il collo di un’anfora trovata nella grande latrina vi è dipinta la scritta SECVNDO POPPAEAE. L’anfora fu dunque spedita ad un "Secundus" liberto di una "Poppaea". Seppure deboli indizi, sono tuttavia essi tali da autorizzarci a supporre che la villa fosse di proprietà della "gens Poppea", almeno nel suo ultimo periodo, e che "Secundus" ne fosse un liberto o addirittura il "procurator".

Il complesso architettonico fu costruito intorno alla metà del I secolo a. C., ma ebbe successivi rifacimenti soprattutto nella decorazione parietale nel corso dell’età imperiale giulio-claudia. Si estende per oltre 60 metri dal Ovest ad Est e per più di 50 metri da Nord a Sud, e presenta gli elementi fondamentali della tradizione romana insieme con elementi di gusto più propriamente ellenistici. Notevole è soprattutto lo sviluppo dei porticati che girano intorno al perimetro dell’edificio e l’ingresso colonnato di passaggio dal gran salone al giardino.
Ad ogni buon conto, comunque, la villa oplontina rispecchia nel corpo centrale la disposizione della casa urbana, anziché quella delle ville extraurbane e suburbane, e la tipica sequenza atrio, "tablinum, hortus" o peristilio viene qui idealmente conservata, ma allo stesso tempo adattata all’intera planimetria della villa ed arricchita dalla presenza del grande salone settentrionale.
Il settore occidentale appare chiaramente essere stato il quartiere di rappresentanza, e la parte più nobile della villa stessa.
Il settore orientale, invece, sembra piuttosto destinato sia agli aspetti più intimi della vita quotidiana, (ambienti ad ovest e sud) sia allo svolgimento dei servizi (ambienti a nord ed est).

Ma ciò che colpisce di questa splendida abitazione, oltre alla sontuosa struttura architettonica e gli ampi giardini, è l’insieme delle belle pitture che decorano la villa, la cui unità stilistica è innegabile: ne fa fede se non altro il ricorrere spesso di eguali motivi. E se il secondo stile oplontino trova nessi con altre pitture già note, Villa dei Misteri, Casa del Labirinto, e così via, esso è più di tutte vicino alle pitture di Boscoreale; in alcuni dettagli vi è tanta somiglianza da indurre a pensare che le une e le altre siano uscite da una stessa tradizione pittorica.
Dopo la dispersione nei vari musei del mondo delle pitture di Boscoreale, il complesso oplontino che conserva invece la sua unità pittorica trova riscontro solo in quello della Villa dei Misteri ed in un certo senso lo supera. Né è escluso del tutto che lo scavo ancora in corso riveli un giorno o l’altro anche qui un ciclo megalografico da porre accanto a quelli di Boscoreale e di Pompei.

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I CAMPI FLEGREI

Campi_flegrei

POZZUOLI

Pozzuoli fu una colonia di Samos nella seconda metà del VI secolo a.C. Inizialmente conosciuta col nome di Dikaiarchia, combatté al fianco di Cumae contro gli Etruschi ed i Sanniti, che la conquistarono durante il V secolo a.C. Nel II secolo a.C. sotto i Romani prese il nome di Puteoli, divenendo la più importante base strategica per la flotta romana nel Mediterraneo fino alla costruzione del porto di Ostia (I secolo d.C.). Ma nonostante il suo progressivo declino, fu sempre tenuta in alta considerazione dagli imperatori e particolarmente da Domiziano che la collegò alla capitale grazie ad una strada che prese appunto il suo nome.

Il Tempio di Serapide

E’ una delle maggiori testimonianze monumentali di epoca romana, conosciuta comunemente col nome di Serapeo. Il nome è dovuto alla scoperta nell’edificio della statua di Serapis, un’antica divinità egizia venerata in epoca greca e romana. Ma in realtà si trattava di un mercato pubblico dalle dimensioni considerevoli. Sul lato opposto all’entrata principale sorgeva un ambiente semicircolare con numerose nicchie ornate di statue. La porzione centrale dell’ampio edificio era occupata da un podio circolare con una fontana nel mezzo e circondata da statue e da un gruppo di 16 colonne in marmo africano. Questa costruzione risale al periodo Flavio. Aldilà del suo enorme interesse architettonico ed archeologico, il tempio di Serapide risulta molto importante perché permette di “leggere” agevolmente la dinamica del bradisismo a Pozzuoli attraverso i secoli. Difatti sui resti di alcune delle antiche colonne dell’edificio sono ancora oggi visibili i fori prodotti dai litodomi- un tipo di mollusco: è chiaro anche che quei fori comprovano la diversa altezza dell’acqua nell’antichità rispetto ai giorni nostri dovuta al bradisismo.

Anfiteatro Flavio

L’Anfiteatro Flavio fu costruito al tempo di Vespasiano nella seconda metà del I secolo d.C. In ordine di grandezza, questo edificio risulta essere il terzo degli anfiteatri in Italia dopo il Colosseo (Roma) e quello di Santa Maria Capua Vetere. Ma l’interesse maggiore è dato dai suoi sotterranei, i più estesi e meglio conservati dell’antichità, costruiti in laterizio. Questi sotterranei, costruiti prevalentemente con mattoni, furono completati durante il I ed il II secolo d.C. e sono intatti ancora oggi. Da un vicino acquedotto proveniva l’acqua per allagare l’arena così che le battaglie navali (conosciute come Naumachie) potessero aver luogo. L’anfiteatro originariamente era dotato di tre ordini di arcate con circa 40.000 posti a sedere.

SOLFATARA

Appena fuori dalla città vi è la Solfatara. Conosciuta presso i Romani come Forum Vulcani, è in realtà il largo cratere di un vulcano quiescente. Il periodo di quiescenza di questa formazione vulcanica vicino Pozzuoli è una delle tipiche fasi di attività post-vulcanica; un periodo durante il quale l’unico segno di vita del vulcano è la produzione di gas sulfurei che creano depositi di zolfo. Il cratere stesso ha una forma ellittica. Le uniche costruzioni all’interno del cratere sono l’antico Osservatorio, situato vicino alla cosiddetta Bocca Grande, e la Fornace nella quale i vapori raggiungono temperature intorno ai 100° C. Uno dei fenomeni più caratteristici all’interno del cratere della Solfatara è la condensazione del vapore acqueo che forma piccole nuvole in presenza di una fiamma.

BAIA

Borgo Marinaro, località balneare e centro archeologico di notevole importanza, in pittoresca posizione in fondo all’insenatura omonima. Secondo la leggenda prese il nome da Baios, uno dei compagni di Ulisse, qui sepolto e onorato. Ma la celebrità di Baia è dovuta alle sorgenti termali che scaturivano copiosissime dalle colline circostanti e dal lido stesso, oltre che alla dolcezza del clima e alla bellezza dei suoi dintorni. A Baia, Caligola compì una delle sue più famose stravaganze: la costruzione di un ponte di barche da Pozzuoli a Baia, lungo due miglia romane, per abbreviare la distanza fra le due città. Più tardi i fenomeni eruttivi e soprattutto quelli bradisismici fecero scomparire gran parte dei grandiosi monumenti di Baia.

Zona Archeologica di Baia

Gli Scavi di Baia hanno portato alla luce un grandioso complesso imperiale romano (I-IV sec. d.C.) esteso sul pendìo della collina sovrastante l’abitato su un fronte di circa 450 metri e con un dislivello di 80. Si possono distinguere tre nuclei: all’estremità Sud il settore “di Venere”, al centro il settore “di Sosandra”, ad Est il settore “di Mercurio”, distinti da grandi scale di accesso e comunicazione. Dall’ingresso un vialetto conduce alla terrazza, fiancheggiata da resti di un portico su pilastri, sovrastante il “settore di Mercurio”: alle spalle sono una serie di cisterne intercomunicanti. Al termine della terrazza scendendo alcuni gradini si accede al “settore di Sosandra”, vasto rettangolo delimitato nei lati lunghi da due scale parallele, distribuito in tre terrazzamenti. Il terrazzo superiore è occupato da un quartiere di soggiorno; in un ambiente, aperto da nicchie, è stata trovata la statua di Sosandra, magnifica replica in marmo di un bronzo greco del V sec. a.C.. ora al “Museo Archeologico Nazionale di Napoli”. Nella terrazza mediana è sistemato un piccolo Teatro-ninfeo, con una vasca al centro dell’orchestra: serviva tanto per rappresentazioni teatrali o musicali, quanto come luogo di riposo e belvedere. La terrazza inferiore, a oltre 8 m più in basso, è occupata da una grande piscina rettangolare o “Bagno di Sosandra”, originariamente alimentata da una sorgente sulfurea che ancora scaturisce ai piedi della collina. Dalla piscina un corridoio, incassato nel terreno e coperto da una serie di archi, conduce al grandioso edificio centrale del “settore Mercurio”, chiamato impropriamente “Tempio di Mercurio” dalla tradizione umanistica napoletana, o anche Tempio dell’ Eco, per l’effetto acustico prodotto all’interno della volta.

BACOLI – CAPO MISENO

Il Castello di Baia fu fatto costruire su ordine del vicerè don Pedro di Toledo al fine di difendere la costa dai numerosi attacchi dei corsari. Oggi il castello è sede di un interessante museo. Bacoli è un popoloso e pittoresco paese di pescatori e località balneare. Nelle vicinanze della spiaggia sorgono le rovine della cosiddetta Tomba di Agrippina, un rudere nel quale la tradizione volle riconoscere il sepolcro di Agrippina, madre di Nerone, fatta uccidere dal figlio. Percorrendo la via principale della città si arriva alle vicine Cento Camerelle , singolare e grandioso impianto di serbatoi d’acqua di una delle più antiche e celebrate ville della regione baiana. Degna di nota è anche la Piscina Mirabile, immenso bacino rettangolare scavato nel tufo sulla Punta del Poggio nella prima età augustea, per assicurare l’acqua alla flotta stazionante a Miseno. Capo Miseno è un piccolo villaggio in pittoresca posizione tra la Punta della Sarparella e le pendici nord del Monte Miseno. Ebbe origine da una colonia militare fondata nel 31 a.C. da Augusto, ma fu distrutto nel IX secolo dai Saraceni.

CUMA

Cuma è un centro archeologico della massima importanza situato all’estremità ovest dei Campi Flegrei. Sede di una delle più antiche colonie greche in Italia, è celebre soprattutto per il santuario della Sibilla Cumana. Fu fondata nell’VIII sec. a.C. dai Calcidiesi di Eubea. Fra il VII e il VI secolo il dominio della città si estese a tutta la regione flegrea, e i porti di Miseno e Putéoli divennero parte dello stato cumano; seguì la fondazione di Neapolis.

Zona Archeologica

Il sito archeologico di Cuma è famoso soprattutto per l’Antro della Sibilla Cumana che fu uno dei più venerati dell’antichità. L’antro consta di una galleria rettilinea lunga circa 130 metri. Dei primi 25 metri restano soltanto gli stipiti dell’ingresso e il nascimento delle pareti; per tutto il suo ulteriore sviluppo la galleria è perfettamente conservata. In fondo all’antro, poi, si apre una camera rettangolare: è questa la Stanza Oracolare ove la Sibilla pronunciava i suoi vaticini. Di fianco all’ Antro della Sibilla si sale la gradinata d’accesso all’Acropoli. Seguendo la cosiddetta Via Sacra si trovano i resti del Tempio di Apollo. Della primitiva costruzione di età greca e sannitica rimane solo la grande platea. Nel VI o VII sec. il tempio fu trasformato in basilica cristiana. Davanti al tempio sorgono un’esedra e una cisterna di età greca. Riprendendo la Via Sacra si arriva ai resti del Tempio di Giove. Eretto in età greca (metà del V sec. a.C.) fu ricostruito al tempo di Augusto e trasformato nel V-VI sec. in basilica cristiana. Scavate nel pavimento o addossate ai muri si notano numerose tombe per sepoltura di cristiani.

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L'ISOLA DI CAPRI

Isola_Capri

Capri è un’isola calcarea di circa 10 chilometri quadrati e geologicamente è la continuazione della Penisola Sorrentina, da cui dista 5 chilometri. Sorge da un mare profondo tutta montuosa, con le coste in molti punti dirupate ed inaccessibili, piene di grotte e di antri e circondate da scogli di forme fantastiche (celebri i Faraglioni). Il nome di Capri, secondo alcuni storici, deriverebbe dal greco Kapros-cinghiale. Altri invece, l’attribuiscono all’origine latina, cioè Capreae. I primi abitanti dell’isola furono i Teleboi che si stabilirono aCapri nell’VIII secolo a.C. Dell’antica acropoli greca restano solo le mura di fortificazione. Ma nel 1906, durante i lavori di ampliamento nell’albergo Quisisana, furono rinvenuti dal medico caprese Ignazio Cerio alcuni resti di animali preistorici ed armi in pietra Il primo scopritore di Capri fu Augusto nel 29 a.C. che, innamoratosi dell’isola, la toglie dalle dipendenze di Napoli scambiandola con la fertile Ischia. Inizia il suo dominio privato seguito dalla fiorente edilizia che il suo successore Tiberio attuò dal 27 al 37 d.C, con la costruzione di ben 12 ville.I grandi eventi politici che si svolsero tra il VI ed il XIX secolo a Napoli, con il succedersi delle dinastie Angioine, Aragonesi, Spagnole e Borboniche, ebbero a Capri scarsi riflessi. L’isola esposta alla scorreria Musulmana restava abbandonata a sé stessa e la migliore difesa dei capresi era quella di disertare l’abitato della Marina per rifugiarsi sulle alture. Capri era povera di risorse e con una popolazione decimata dalle piraterie e dalla peste. Fra il Seicento ed il Settecento, si aggiunse la rivalità dei due Comuni di Capri ed Anacapri, per la non facile regolamentazione dei reciproci diritti di giurisdizione civile ed ecclesiastica. Attraverso l’ultima eroica vicenda di sbarchi, i Francesi completarono le fortificazioni sull’isola e vi restarono fino al crollo della potenza Napoleonica e alla restaurazione Borbonica del 1815. Capri esce così dal lungo letargo e si affaccia entusiasta alla “vita romantica” dell’800. Iniziarono le corse verso l’isola beata di solitudine e di semplicità paesana, i soggiorni prolungati e le residenze definitive di artisti, di scrittori, di poeti stranieri. L’albergo Pagano, il primo albergo di Capri, ospitò nel 1826 il tedesco Augusto Kopisch. L’esodo degli intellettuali russi, dopo la guerra russo-giapponese del 1905, contribuì a fare di Capri, un rifugio letterario-politico. In quegli anni giunse Massimo Gorki, accolto benevolmente dall’ambiente cosmopolita dell’isola. Oggigiorno, natura, storia, celebrità e cultura hanno fatto di Capri una dei grandi centri d’attrazione turistica al mondo. I “Faraglioni”, (simbolo dell’isola), la celebre piazzetta “Umberto I” , (definita il “salottino del mondo” per la sua mondanità), i “Giardini di Augusto”, la “Grotta Azzurra”, famosa in tutto il modo, fanno di questa isola un posto unico.

GROTTA AZZURRA

La Grotta Azzurra è una meravigliosa caverna naturale riempita per metà dal mare. La luce del giorno vi penetra non direttamente, ma per rifrazione dagli strati d’acqua, riempendo la grotta di un colore azzurro-turchese di straordinaria intensità. Era nota già agli Antichi, ma senza quegli splendidi effetti di luce turchese per cui è celebre, sicché se ne perdette il ricordo. Ma gli isolani la conoscevano sin da quando il pescatore caprese Angelo Ferrara la scoprì casualmente. In verità, la grotta era già segnata nella carta di Capri pubblicata nell’"Isolario" del Principe Vincenzo Coronelli (Venezia, 1696) coll’antico nome di "Grotta Gràdola". Ad ogni modo deve la sua notorietà alla menzione fattane del poeta Hans Christian Andersen nell’"Improvisator"(1835) e alle descrizioni di altri celebri visitatori dell’isola quali Mendelssohn, Dumas ed altri.

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L'ISOLA DI ISCHIA

Isola_Ischia

L'isola di Ischia, gemma dell'arcipelago partenopeo, sorge di fronte al capo Miseno, con aspre coste frastagliate inframmezzate da alcune calette. Di origine vulcanica, è ricca di sorgenti termominerali e di fumarole che emanano i loro vapori in più parti del territorio. Oltre all' agricoltura, le risorse degli abitanti sono la pesca, l'artigianato e soprattutto il turismo, favorito dal clima mite e dal magnifico paesaggio. Sull'isola si trovano sei comuni, collegati dalla strada statale 270. La visita comincia da Ischia, il centro principale, divisa in due parti ben distinte. Il nucleo più antico (Ischia Ponte) si stringe compatto attorno al castello aragonese, che sorge su uno scosceso isolotto collegato all'isola maggiore dal ponte aragonese della prima metà del XV secolo. Si tratta di un complesso di grande interesse storico che, con la sua struttura fortificata, testimonia l'importante funzione strategica svolta da Ischia quale baluardo difensivo del golfo di Napoli. Entro il perimetro di mura si notano costruzioni di diversi periodi: l'antica cattedrale trecentesca rinnovata in forme barocche, l'ex convento delle Clarisse con il cimitero e la chiesa dell' Immacolata, costruita nel XVIII secolo. Il nucleo recente del paese (Ischia Porto) si distende, immerso parzialmente in una superba pineta, attorno a un tranquillo porticciolo di forma ellittica, corrispondente ad un antico cratere messo in comunicazione con il mare alla metà del secolo scorso. Lasciata Ischia, percorrendo una strada panoramica che schiude ampie vedute sull'intero golfo partenopeo, si raggiunge Casamicciola Terme, cara al drammaturgo norvegese Ibsen e famosa soprattutto per l'efficacia terapeutica delle sue acque termali. Le sorgenti ipertermali bicarbonato-alcalino-salso-radioattive del "Gurgitello" e della "Rita" alimentano gli stabilimenti dove vengono curati disturbi di varia natura con fanghi, inalazioni e bagni di vapore. Dopo 3 Km si arriva a "Lacco Ameno", centro adagiato in una rada chiusa dal tozzo promontorio del "monte Vico". Salendo sulla sommità di quest'ultimo lo sguardo abbraccia gli scenari più suggestivi dell''intera costa settentrionale: in primo piano appare un caratteristico scoglio che lo schiaffo incessante delle onde ha scolpito a forma di fungo, mentre sullo sfondo le case e le ville scendono a cascata verso il litorale. In paese la chiesa di "Santa Restituta", costruita sulle fondamenta di una basilica dell'XI secolo, conserva una notevole cripta, alla quale è annesso un museo con reperti greci, romani e bizantini. Nella "Villa Arbusto", immersa in un bel parco, ha sede il "Museo Archeologico", che espone al pubblico gli oggetti rinvenuti nella vicina "necropoli di San Montano", costituita da tombe che vanno dall'VIII secolo a.C. al III secolo d.C. Attraverso fitti vigneti si arriva a Forìo, sulla costa occidentale dell'isola, e ci si reca sulla "punta del Soccorso", un ripido promontorio vigilato da una bianca e deliziosa chiesetta in cui sono conservati gli ex voto di emigranti e marinai. Da questa balconata si ammira anche la bella spiaggia di "Citara" che, distesa ai piedi di una ripida scarpata rocciosa, gli antichi Romani dedicarono a "Venere Citarea" e ad "Apollo Risanatore", quasi a sottolineare la purezza cristallina del mare in cui si dice che Venere, dea dell'amore, amasse immergersi. A Forio si può visitare la "chiesa di Santa Maria di Loreto", di origini trecentesche e trasformata in periodo barocco. L'edificio sacro presenta due campanili con copertura di maioliche; accanto si leva il Torrione, una delle dodici torri erette a difesa dell'abitato e risalente al tardo Quattrocento. Oltre Forio, la strada si allontana dalla costa: si percorre così la parte più impervia dell'isola, dove gli insediamenti umani sorgono quasi tutti su piccoli poggi. L'unico centro a contatto con il mare è Sant'Angelo, che si raggiunge effettuando una deviazione da Panza. L' antico villaggio di pescatori, ora votatosi a un turismo d'élite, ha l'aspetto di un alveare aggrappato a una penisoletta rocciosa. Alla sommità del paese e dal lato della "Marina di Maronti" si trovano varie sorgenti ipertermali radioattive salso-bromo-iodiche (90-98°C) utilizzate per la cura di varie malattie, soprattutto cutanee e artroreumatiche. Da "Panza" la strada risale verso le radici dell'Epomeo, massima vetta dell'isola (788 m), attraversando una serie di nuclei rurali stretti attorno ai loro campanili (Ciglio, Serrara, Fontana, Noia). Durante il percorso si possono ammirare residue abitazioni trogloditiche scavate in spuntoni o massi tufacei. Per i sentieri della campagna e per le vie dei centri circolano ancora animali da soma: asini e muli, molto spesso, sono i soli mezzi di locomozione che consentano di raggiungere i campi terrazzati situati su erti costoni. Dopo "Fontana", la strada ridiscende verso la costa e, giunta a "Barano", si infila in una verde vallata dominata a sinistra dall'Epomeo e a destra dalle cime tondeggianti del monte dei "Vezzi" e del monte di "Campagnano". Barano si apre sulla "piazza di San Rocco", che a sua volta guarda verso il mare. Vi si trovano la semplicissima "chiesetta di San Rocco" e la barocca "San Sebastiano", un tempo sede conventuale, intitolata al patrono del paese. Attraverso una vallata chiazzata di pini, castagni, vigneti e lindi casali si ritorna ad Ischia.

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ERCOLANO

Ercolano
Ercolano era una città prevalentemente greca, conquistata dai Romani nel 307 a. C.. Herculaneum, a differenza di Pompei - città essenzialmente commerciale - ebbe un carattere assai più signorile, com'è dimostrato dalla raffinatezza dei suoi ambienti e degli oggetti di scavo. Le prime esplorazioni nel sottosuolo furono eseguite nel 1719 dal principe di Elbeuf, e poi riprese fra il 1738 e il 1766, con la scoperta di insigni monumenti e di una preziosa raccolta di papiri. Sorse appunto, in seguito a tali ritrovamenti, la Real Accademia Ercolanense, che dal 1755 al 1792 illustrò il ricco materiale che veniva a luce. Altri scavi fruttuosi furono quelli diretti da Giuseppe Fiorelli (1869-75) e altri infine, con rigoroso metodo scientifico, si sono iniziati nel 1927 e sono ancora in corso.
Discesi negli scavi, si visiterà prima di tutto il Teatro, costruzione augustea, di cui si conosce l'autore, l'architetto Numizio. Nella zona dei cosiddetti Scavi nuovi si ponga mente sopratutto all'edificio delle Terme, alla Casa del Genio e, di fronte a questa, alla Casa dello scheletro. Più avanti la Casa di Argo, la più bella, che aveva un secondo piano, ora crollato, e che è preceduto da un piccolo portico e circondata da un giardino. Insigne, fra le ville ercolanesi, la Villa dei Pisoni, in cui si trovò il tesoro dei papiri, nonché gran parte delle sculture che ora sono l'orgoglio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

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LA CITTA' DI NAPOLI

La mitica “Parthenope” e la più documentata “Neapolis”, fondate rispettivamente nel VII e nel V secolo a.C. dai Calcidesi di Cuma, si fusero poi in un'unica città che, anche dopo la conquista romana della Campania – completata tra la fine del IV e l'inizio del III secolo – rimase greca per cultura e costumi. La bella città campana, che era al centro di una fascia costiera di residenze patrizie in età imperiale, soprattutto a partire dal VI secolo entrò nell’orbita bizantina pur godendo dall'VIII secolo di governi ducali-vescovili dotati di ampie autonomie. Nel 1139 venne presa da Ruggero II e aggregata al grande Regno di Sicilia, con il quale passò, nel 1194, agli Svevi, sotto lo scettro prima di Enrico VI e poi di Federico II, fondatore nel 1224 dell'Università che tutt'oggi porta il suo nome. La conquista Angioina (1266) segnò per Napoli una svolta estremamente importante: Carlo I d’Angiò la preferì a Palermo facendola capitale politica e culturale del Mezzogiorno d'Italia, una capitale cui lo stesso Carlo e i suoi successori diedero veste monumentale. Il prestigio della città si rafforzò ulteriormente con l’arrivo degli Aragonesi, che nel 1442 strapparono agli Angiò-Durazzo il Regno di Napoli e lo ressero fino al 1503, quando, coinvolto nelle guerre franco-spagnole, venne ridotto a vicereame alle dirette dipendenze della Spagna. Il lungo periodo dei viceré spagnoli (la figura più eminente fu don Pedro de Toledo, che regnò fra il 1532 e il 1553) aggravò le condizioni sociali di Napoli, dando origine al fenomeno del sovraffollamento e registrando avvenimenti drammatici: l'eruzione del Vesuvio nel 1631; la rivolta del 1647 capeggiata da Masaniello; la peste e il terremoto del 1656, che determinarono demolizioni e speculazioni tali da far scrivere a Carlo Celano, nel 1692, che gli architetti in quel tempo fecero più danni che il terremoto stesso. Occupata dagli Austriaci nel 1707 (nel periodo della guerra di successione spagnola), nel 1734 Napoli con il regno fu assegnata a Carlo di Borbone. Eccezion fatta per la parentesi della Repubblica Partenopea del 1799 e del decennio francese (1806-1815), i re Borbone sedettero sul trono della capitale partenopea fino al 1860 con l’occupazione garibaldina. Contraddittoria risultò la condizione di Napoli a partire dal Regno d'Italia: da un lato l'epidemia di colera del 1884, l'aggravamento dei problemi socio-economici ereditati dal passato, i bombardamenti aerei del 1943 e, infine, il terremoto del 1980; dall'altro i ripetuti segni di vitalità e di rinascita per tornare a essere la "grande, luminosa e gentil città" di cui aveva scritto Giambattista Vico. Oggi Napoli è una città che guarda al futuro con speranza, e pur ereditando problematiche antiche e mai risolte, si appresta ad offrire una nuova immagine di sé fatta di efficienza, cultura, arte e scienza. Da qui i numerosi progetti, alcuni dei quali già realizzati, che vanno dal Centro Direzionale al completamento della Metropolitana cittadina, dalla “Città della Scienza” al grande rilancio del turismo nella città, dalla forte promozione del “sistema museale” napoletano a manifestazioni di indubbio successo quale “Maggio porte aperte”.

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IL PALAZZO REALE DI NAPOLI

Palazzo Reale di Napoli: sala del Trono

Nel 1600 il vicerè Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos diede inizio alla fabbrica del nuovo Palazzo Reale di Napoli. La ragione fu la preannunciata visita di Filippo III di Spagna, poi non avvenuta, ai suoi domini napoletani, dal momento che le varie sedi vicereali (Castelcapuano, Castelnuovo e Castel dell’Ovo), compreso Palazzo Vecchio, non apparivano adatte ad ospitare il sovrano. I lavori per il nuovo palazzo furono affidati a Domenico Fontana il 13 agosto 1595. In precedenza egli aveva già realizzato l’apertura della strada della Marina, lo sventramento di Largo di Castello e la sistemazione della strada di Santa Lucia. Tra il 1611 ed il 1613 Giovan Battista Caracciolo, Giovanni Balducci e Belisario Corenzio dipinsero alcune sale del palazzo; l’ultimo vi lavorò pure tra il 1622 ed il 1629. Sul finire degli anni venti del XVII secolo l’edificio era ormai abitabile. Ma nel XVIII secolo il palazzo fu restaurato da Luigi Vanvitelli. Alcuni archi sulla facciata furono trasformati in nicchie poiché il celebre architetto riteneva che l’edificio fosse poco stabile. Più tardi poi Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte decorarono il palazzo reale con mobili in stile Impero e porcellane. Nel 1837 scoppiò un terribile incendio che distrusse parte dell’edificio. Questa è la ragione per la quale furono effettuati altri lavori di rinnovo ad opera di Gaetano Genovese. Il Palazzo Reale di Napoli fu anche danneggiato durante la seconda guerra mondiale e poi di nuovo restaurato. Nel 1888 il re di Napoli, Umberto I collocò negli archi della facciata 8 statue che rappresentano i re più importanti delle diverse dinastie che si susseguirono sul trono di Napoli: Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò, Alfonso I d’Aragona, Carlo V di Spagna, Carlo di Borbone, Gioacchino Murat, Vittorio Emanuele II di Savoia.

Oggi il Palazzo Reale di Napoli accoglie al piano nobile (primo piano) il Museo ed una importante Biblioteca Nazionale.

Per ciò che concerne il museo, è difficile descriverne ogni ambiente, ma certamente degni di nota sono il Teatro, la Sala del Trono e la Sala del Gran Capitano.

Il Teatro:
Inizialmente sala da ballo, questo ambiente fu trasformato in Teatro Reale da Ferdinando Fuga nel 1768. Questa trasformazione ebbe luogo quando il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone sposò Maria Carolina d’Austria. Fu decorato in stile rococò e le statue in cartapesta che circondano la sala rappresentano le Muse, Minerva, Apollo e Mercurio. E’ meta di incontri internazionali e nel 1994 i rappresentanti del G7 si riunirono in questo teatro. Parzialmente distrutto da una bomba durante la seconda guerra mondiale, il teatro fu restaurato nella seconda metà del secolo scorso.

La Sala del Trono:
La Sala del Trono è in stile Impero e risale al 1850. Sulla volta 14 figure femminili simboleggiano i vari distretti del Regno di Napoli. Di fronte al trono è posto un ritratto del re di Napoli Ferdinando I di Borbone che indica la chiesa di San Francesco di Paola. Alla destra e alla sinistra del trono due pitture ad olio rappresentano gli ambasciatori di Tripoli e della Turchia. La sala custodisce anche un’altra tela che raffigura il re d’Italia Vittorio Emanuele III, nato in questo palazzo nel 1869.
Il lampadario è di cristallo di Boemia.

La Sala del Gran Capitano:
La Sala è dedicata a Don Salvo de Cordoba, il capitano spagnolo che conquistò il regno di Napoli nel 1503. Da allora Napoli perse il suo ruolo di capitale del regno per divenire una delle tante città dei domini spagnoli.
La volta fu dipinta da Battistello Caracciolo e raffigura il gran capitano.
Nella stessa stanza è custodita la tela col ritratto di Pier Luigi Farnese del Tiziano.

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GLI SCAVI DI POMPEI

Pompei

Gli scavi di Pompei costituiscono oggi uno dei siti archeologici più celebri e visitati al mondo. Le origini della città campana sono ancora incerte e discusse: secondo le teorie più moderne la sua fondazione pare risalire agli Etruschi nel VII secolo a.C. In epoca romana la sua ideale posizione geografica e la sua baia incantevole attirarono molti nobili patrizi che vi costruirono numerose dimore. Ma nel 62 d.C. un tremendo terremoto distrusse quasi completamente la città. I successivi restauri, lungi dall’essere conclusi, furono bruscamente interrotti dalla catastrofe finale del 24 Agosto del 79 d.C.: un’eruzione del Vesuvio dall’intensità impressionante seppellì in soli tre giorni e tre notti le città della vicina pianura sotto una spessa coltre di cenere e lapilli. Scomparvero così nell’oscurità dell’oblio le fiorenti città di Pompei, Ercolano, Stabiae, Oplontis e Boscoreale. E persino il ricordo della loro esatta ubicazione si perse nella notte dei tempi.

Fu solo per caso che la città di Pompei fu ritrovata: negli ultimi anni del XVI secolo a seguito di lavori idraulici condotti dall’architetto Domenico Fontana vennero alla luce le prime tracce di questa città. Ma solo nel 1748 con Carlo di Borbone gli scavi di Pompei ebbero ufficialmente inizio. Fra gli aspetti più significativi della scoperta di questa città va ricordato il notevole livello di conservazione degli antichi oggetti, dalla statuaria agli affreschi, dal vasellame agli utensili quotidiani, e così via. In assenza di ossigeno la cenere ha conservato in maniera incredibile gli edifici pubblici e privati e tutto ciò che la città custodiva: in un forno sono stati addirittura trovati 81 pezzi di pane ! Inoltre, particolare interesse rivestono i numerosi calchi di gesso delle vittime di quell’eruzione, alcuni dei quali oggi esposti negli scavi. Durante la tremenda eruzione del 79 d.C., insieme alla cenere ed i lapilli, fuoriuscirono gas tossici che soffocarono gli abitanti di Pompei i cui corpi furono seppelliti dal materiale eruttivo. Nei secoli, naturalmente, i resti organici di quelle vittime si deteriorarono fino a scomparire e a lasciare nella cenere delle cavità quasi completamente vuote: il celebre archeologo Giuseppe Fiorelli pensò allora di riempire questi spazi vuoti con del gesso liquido così da ottenerne dei calchi che provocano ancora oggi in ogni visitatore meraviglia e stupore.

APERTURA/CHIUSURA SCAVI DI POMPEI:

Da Aprile ad Ottobre le rovine sono aperte dalle 8.30 alle 19.30, ma la biglietteria è aperta fino alle ore 18,00

Da Novembre a Marzo le rovine sono aperte dalle 8.30 alle 17.00, ma la biglietteria è aperta fino alle ore 15.30

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IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI

Museo_Napoli

I lavori per la costruzione dell’edificio dove oggi sorge il Museo Archeologico Nazionale di Napoli furono eseguiti fra il 1582 ed il 1586 per ordine del Duca di Ossuna e disegnato dall’architetto Giulio Cesare Fontana. Si decise che fosse la “Scuola Reale di Equitazione”, ma l’opera non poté mai condursi a termine per difetto di approvvigionamento idrico nella zona. I cantieri furono ripresi solo più tardi dal viceré di Napoli conte di Lemos che affidò i lavori della fabbrica a Domenico Fontana per farne “Palazzo degli Studi” (1616) fino al 1777. Ulteriori modifiche seguirono fra il 1780 ed il 1820 a cura degli architetti Fuga e dello Schiantarelli per l’adattamento dell’edificio a Museo. Quest’ultimo deve la sua origine alle preziose collezioni di scultura e di pittura che Carlo di Borbone, re di Napoli e figlio di Elisabetta Farnese, ereditò dallo spento ramo della famiglia materna: erano in maggioranza sculture che i Farnese (e segnatamente Paolo III) avevano trovato a Roma durante un periodo di straordinarie scoperte alle Terme di Caracalla e al Palatino o che, come la raccolta di gemme, aveva ereditato dai Medici di Firenze. Intanto Carlo di Borbone, negli anni trenta e quaranta del XVIII secolo, avviava la fervida campagna di scavi di Pompei ed Ercolano grazie alla quale si rinvennero magnifici tesori dell’antichità. Al nucleo farnesiano, dunque, si aggiunse questa immensa miniera di ritrovamenti delle antiche città campane, a cui poi si affiancarono anche altre raccolte quali la “Collezione Borgia” ed altri lasciti ed acquisti. Durante tutto il XVIII ed il XIX secolo il museo continuò a ricevere numerose opere d’arte, sia da collezioni private che dagli scavi di Pompei, Ercolano, Stabiae, Paestum, Cuma ed in numerose altre località del Regno di Napoli.

Oggi, i tesori qui custoditi rappresentano una delle collezioni d’arte greca e romana più complete al mondo. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli riveste particolare importanza per le seguenti sezioni:

· Statue marmoree e bronzee: degne di nota sono “Il Doriforo” di Policleto, Ercole Farnese, lo splendido bassorilievo di Orfeo ed Euridice, il Toro Farnese.
· Collezione di gemme
· Sezione Egizia
· Mosaici: questa sezione è fra le più importanti al mondo: di particolare importanza e bellezza è il più grande mosaico dell’antichità “La Battaglia di Alessandro”, che rappresenta l’imperatore Macedone sconfitto da Alessandro Magno nel 333 a.C. ad Isso. Nella stessa sezione fanno bella mostra di sè mosaici raffiguranti animali, scene di vita quotidiana, musici e persino Platone con i suoi studenti.
· Sezione dedicata alla “Villa dei Pisoni” dove sono custodite statue provenienti appunto dalla suddetta villa
· Terracotte invetriate, vetri, opere antiche in avorio ed osso, argenteria, armi gladiatorie · Affreschi, la maggior parte dei quali provenienti dalle rovine di Pompei, Ercolano e Stabiae. · Vasi

Museo Archeologico Nazionale:
Piazza Museo tel.081440166 orario : feriali 9.00 - 20.00 chiuso il martedì ingresso: euro 6,50 per i visitatori dai 18 ai 65 anni, gratuito per gli altri
Stazione Metropolitana più vicina: Piazza Cavour & Museo.

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IL MUSEO DI CAPODIMONTE

Antea by the painter Parmigianino

La costruzione del Palazzo Reale di Capodimonte inizia nel 1738 per volere del re di Napoli Carlo di Borbone nella zona collinare a nord della città. L’edificio consente al nuovo sovrano di far coincidere la sua intensa passione per la caccia, assecondata dalla ridente vegetazione della collina di Capodimonte, all’esigenza di trovare una sede adeguata all’immenso patrimonio artistico ereditato dalla madre, Elisabetta Farnese, ultima discendente di una delle famiglie più prestigiose del Rinsascimento italiano.

La prima pietra viene posta nel 1738. I lavori però procedono a rilento. Soltanto nel 1758, Carlo di Borbone può collocare nella nuova residenza reale l’imponente raccolta d’arte di famiglia. Nel 1742 l’architetto Ferdinando Sanfelice inizia la sistemazione del bosco. Alcuni edifici esistenti sono restaurati e trasformati nella sede delle fabbriche reali, tra cui va ricordata quella delle porcellane, celebre in tutto il mondo. Nella seconda metà del XVIII secolo, in linea con i nuovi sviluppi della museografia illuminista, comincia a farsi strada nella mente dei Borbone l’idea di realizzare un Museo Generale in grado di raggruppare tutti gli oggetti d’arte di proprietà della Corona. Il trasferimento delle collezioni d’arte avviene durante il decennio francese (1806- 1815). Per la reggia di Capodimonte si aprono nuovi scenari: diviene teatro privilegiato di eventi mondani e cerimonie sontuose.

Il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli conferma la destinazione residenziale dell’edificio. Con l’Unità d’Italia, sotto la guida di Annibale Sacco, alcuni ambienti del piano nobile vengono destinati a sede di una galleria di pittori e scultori contemporanei. Capodimonte, insomma, ripropone la sua duplice funzione di reggia-museo: è residenza, fin dopo il secondo conflitto mondiale, dei Duchi d’Aosta e ospita contemporaneamente, nelle sale al piano nobile, dipinti e suppellettili, oggetti d’arte e d’arredo provenienti dai siti reali borbonici soppressi, tra cui i pannelli in porcellana che rivestivano le pareti del boudoir della regina Maria Amalia di Sassonia nella Reggia di Portici. Nel 1950, si decide di ripristinare la piena ed esclusiva funzione di Museo. Ritornano sulla collina di Capodimonte le collezioni d'arte medioevale e moderna dal Museo Nazionale. Oltre alla collezione Farnese oggi è possibile ammirare opere straordinarie provenienti dalle chiese napoletane e meridionali (Simone Martini, Colantonio, Caravaggio) e altre acquisizioni prestigiose, come le collezioni Borgia e D’Avalos. Al primo piano è possibile visitare l’Appartamento Reale con le manifatture borboniche, tra cui le celebri porcellane. Al secondo e al terzo livello ci sono la Galleria Napoletana e le sezioni dell’Ottocento e dell’arte contemporanea.

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LA CAPPELLA DI SANSEVERO

Sansevero

La Cappella di Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico europeo. Situata nel centro storico di Napoli, questo splendido tempio rappresenta il singolare esempio di un fascino monumentale che, ancora oggi, attrae visitatori da ogni parte del mondo. Fondata sul finire del Cinquecento in seguito ad un evento miracoloso, la Cappella rinasce quasi due secoli più tardi grazie alla straordinaria personalità e al genio del Principe Raimondo di Sangro, alchimista e scienziato, che ritroviamo qui trasfusi in ogni elemento artistico, architettonico e scientifico.
Si possono ammirare opere scultoree del Seicento e del Settecento, tra cui il Cristo Velato del Sammartino, il Disinganno del Quierolo, La Pudicizia del Corradini e le misteriose Macchine Anatomiche, frutto dell'ingegno del principe.

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